Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
Asha Lemmie, “Cinquanta modi di dire pioggia”
Ed.
Nord, trad. Anna Ricci, pagg. 432, Euro 18,00
Kyoto 1948. Noriko Kamiza viene reclusa dalla nonna nella soffitta della splendida magione quando ha solo otto anni. La sua colpa? Essere una figlia illegittima, una bastarda. Peggio ancora. Avere un aspetto- pelle color caramello e capelli ricci- che non lascia dubbi sul fatto che suo padre non sia giapponese. Inaccettabile. Imperdonabile. In una famiglia, poi, in cui la nonna di Nori è cugina dell’imperatore. Va da sé che nessuno debba vedere la bambina, che nessuno debba sapere della sua esistenza.
Il romanzo mi aveva incuriosito. Mi prometteva un’evasione in Giappone, una storia che si annunciava più ‘leggera’, pur con il suo lato drammatico, di quella del libro impegnativo che avevo appena terminato. È stato un errore leggerlo, anche se ha mantenuto la promessa di distrarmi e addirittura di farmi sorridere per la serie di avvenimenti strappalacrime e al limite della credibilità. Perché il romanzo inizia con la bambina abbandonata dalla madre sul marciapiede davanti alla dimora dei suoi genitori con la raccomandazione di essere obbediente. La bambina sa che, al di là di quel cancello chiuso, abita la nonna, la madre di sua madre. Nella scena seguente la bambina è già nella soffitta, con una cameriera che la aiuta a fare il bagno in una vasca con acqua e varechina. È questo dettaglio che ci fa capire che Nori è diversa, che la nonna non la accetta per quello che è. È la prima di una serie di torture paragonabili a quelle subite da qualche piccolo orfano di dickensiana memoria.
Ad un certo punto spunta un fratellastro,
Akira, idolatrato dalla nonna perché sarà lui l’erede. Stranamente Akira
diventa il paladino di Nori che naturalmente lo adora. Ci sono però in serbo
per Nori altre bruttissime sorprese- sarà venduta, sarà salvata, sarà insidiata
da un amico del fratello, la sua vita sarà in pericolo…E altro ancora. Lei si
convincerà di portare con sé una maledizione, proprio come le diceva la nonna.
Senza contare che scende in campo anche la yakuza, la nota mafia giapponese.
Insomma, non manca proprio niente.
“Cinquanta modi per dire pioggia” è una
lettura da distrazione, si arriva alla fine trascinati dalla curiosità di
sapere che cosa altro può accadere, anche se sappiamo che è una curiosità
manovrata dalla scrittrice che fa leva sul tipo di suspense tipico dei romanzi
d’appendice. E, inoltre, l’ambientazione in Giappone è solo una spolverata di
colore, una patina superficiale, così come sono superficiali i personaggi a cui
non viene data nessuna complessità.
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