Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
Alice Walker, “Il colore viola”
Ed. Sur, trad. A. Lombardi Bom, pagg.
346, Euro 18,00
Avevo letto “Il colore viola” di Alice
Walker quando era stato pubblicato, nel 1982, in lingua originale. Lo ricordavo
come un romanzo bellissimo, uno di quelli che lasciano il segno, anche se la
lingua dei neri degli stati del Sud mi era parsa difficile. Ho salutato con
piacere la nuova pubblicazione con una nuova traduzione in italiano: adesso “Il
colore viola” non è solo un libro bellissimo- è diventato un classico,
assolutamente da leggere.
Perché il colore viola nel titolo del libro? Perché ad un certo punto la
bella Shug Avery, un personaggio importante del romanzo, chiede a Celie (la
protagonista che racconta la storia sotto forma di lettere, prima a Dio e poi
alla sorella Nettie) se ha mai osservato le piccole cose che Dio ci dà per
mostrarci che ci ama: per esempio ha mai fatto caso ai fiori viola nei campi?
In tutta la prima parte della sua vita Celie aveva altro a cui pensare che a
guardare la bellezza dei fiori viola. Sua madre era morta, suo padre la
violentava da quando era bambina, lei si era offerta al posto della sorellina
Nettie perché lui la lasciasse in pace. Aveva avuto due bambini che le erano
stati portati via, e poi aveva accettato di sposare Mr. X, proprio per poter
portare Nettie a vivere con sé. Mr. X era vedovo con parecchi figli e non era
molto diverso da suo padre. Le diceva che era brutta e troppo nera, le si
buttava sopra, faceva quello che doveva e si rialzava. E Nettie che lo
rifiutava dovette andarsene, con la promessa di scrivere a Celie. Nessuna
lettera era mai arrivata. Eppure, da un certo punto in poi, le lettere da parte
di Celie a Dio si alternano a quelle di Nettie a sua sorella. Quelle di Celie
parlano della nuova improbabile amicizia di Celie con Shug Avery che è stata il
grande amore di Mr. X e che arriva, gravemente ammalata, a stare con loro;
quelle di Nettie raccontano della coppia di missionari che l’ha raccolta, di
come abbiano due bambini che sono la copia identica di Celie, del viaggio in
Africa, infine, dove i due missionari si propongono di portare aiuto alla tribù
degli Olinka.
“Il colore viola” è un romanzo che ha più di una valenza. È, prima di
tutto, un romanzo sulle donne e solo dopo è un romanzo sulla condizione dei
neri negli stati del Sud. Celie scrive a Dio perché il suo patrigno,
violentandola, le ha detto di non dire nulla a nessuno, di parlarne solo con
Dio- un dio assente, peraltro, un dio che permette che accadano cose orrende,
un dio che sembra essere il dio dei bianchi. Nella Bibbia non si dice però che
Gesù aveva i capelli lanosi come quelli di una pecora? Tuttavia Celie non sarà
una vittima per tutta la vita. Non riuscirà mai ad amare un uomo, ma l’amicizia
e poi l’amore per Shug la aiutano a cambiare, e l’esempio dell’indomita Sofia,
che finisce in carcere per aver tenuto testa ad un bianco, le prospetta
un’altra possibilità di come essere donna. E le lettere di Nettie, che si
sostituisce a Dio come destinatario delle lettere di Celie quando aumentano i suoi
dubbi religiosi (bellissimo questo carteggio, ‘muto’ perché né l’una né l’altra
riceve le lettere eppure così perfettamente armonico), allargano ulteriormente
il quadro, illustrando la situazione femminile in Africa, dove vige ancora
l’usanza della scarificazione e della mutilazione femminile.
Il tempo che passa traspare non solo dagli eventi circostanti- la
crescita dei bambini, i matrimoni, le morti e tutti gli altri piccoli e grandi
fatti quotidiani- ma anche dal cambiamento della personalità di Celie, perfino
dal linguaggio che usa. Celie, la brutta e ossuta Celie, la vittima Celie che
subisce sempre, diventa una sarta che inventa e cuce pantaloni che vanno a
ruba. Lo avremmo mai pensato possibile? E avremmo mai pensato possibile il
finale?
Un bellissimo libro adesso come lo era nel 1983 quando vinse il Premio
Pulitzer.
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