Casa Nostra. Qui Italia
cento sfumature di giallo
la Storia nel romanzo
Adriano Sofri, “Il martire fascista”
Ed. Sellerio, pagg.230, Euro 15,00
Francesco Sottosanti. Morto il 4 ottobre 1930 (inizio dell’anno
scolastico) a Verpogliano (oggi Vrhpolje). Ucciso a colpi di fucile. Ne hanno
fatto un martire fascista, con tanto di monumento in Piazza Armerina di dove
era originario. E forse un martire lo è stato davvero, secondo la ricostruzione
degli eventi fatta da Adriano Sofri nel libro appena pubblicato, “Il martire
fascista”.
Francesco era un maestro della scuola elementare e maestra era pure sua
moglie, vedova giovanissima con cinque figli e uno in arrivo. Però- e questo è
il punto chiave- c’era anche un altro maestro Sottosanti, Ugo, fratello minore
di Francesco. E, a quanto pare, erano sue le colpe che avevano suscitato
desiderio di vendetta e gli spari. Una punizione esemplare per il maestro che
puniva i bambini che si lasciavano sfuggire una parola nella loro lingua (che
non era l’italiano) in una maniera che andava al di là delle pene corporali già
di per sé criticabili. Sputava in bocca al piccolo ‘colpevole’. Ed era tisico.
Non aggiungo altro.
Il contesto dell’assassinio di Francesco Sottosanti è tutt’altro che
facile. Risale ad un tempo e ad una politica di italianizzazione forzata di cui
noi, oggi, non possiamo non vergognarci. Nei paesi che ora sono in Slovenia, al
di là di quel confine che in anni più recenti divideva Gorizia a metà, la
lingua parlata era lo sloveno. Perché queste terre avevano fatto parte del
grande impero austro-ungarico fino allo smembramento di questo, alla fine della
prima guerra mondiale. È una pagina dolorosa di Storia di cui abbiamo già letto
nei libri di Boris Pahor, soprattutto ne “Il rogo nel porto” dove descrive
l’incendio della Casa della Cultura Slovena a Trieste per mano dei fascisti nel
1920- un ricordo traumatizzante- e racconta del castigo inflitto dal maestro
alla bambina che era stata appesa all’attaccapanni per le trecce, i fiocchi che
le legavano come ali di farfalla infilzate da uno spillo.
L’atteggiamento del governo fascista fu quello tipico dei conquistatori,
dei colonizzatori che impongono le loro leggi e la loro cultura con la loro
lingua. È questo lo strumento più efficace per destabilizzare i nuovi
cittadini, per privarli della loro identità culturale, per impedire che si
formino gruppi di rivoltosi (come si può organizzare una rivolta se si è
imbavagliati?). Se negli anni ‘60 furono gli operai ad emigrare al Nord
trovando lavoro nell’industria automobilistica, negli anni ‘20 del ‘900 furono
i maestri a trasmigrare per insegnare nelle scuole del Nord-Est. I maestri del
Sud non avrebbero potuto contravvenire all’ordine di parlare solo in italiano
con i bambini- non sapevano una parola di sloveno. E i bambini avrebbero
imparato a forza la nuova lingua- d’altra parte anche i loro nomi e cognomi
erano stati italianizzati.
Il lavoro di ricerca di Adriano Sofri è accurato e capillare. Ricostruisce
i fatti, riporta gli articoli comparsi sulle varie testate, ascolta le
testimonianze di chi ha avuto in famiglia qualcuno che ha tramandato oralmente
la vicenda del maestro Sottosanti, si reca di persona a Vrhpolje, racconta
delle esperienze del tutto diverse di altre maestre per le quali quegli anni di
insegnamento in scuolette che raggruppavano cinque classi in una erano stati
indimenticabili. Il ricordo lasciato dal maestro Sottosanti è, tuttavia, quello
di una brava persona a differenza del fratello Ugo sulla cui vita i documenti
riportano dati non sempre chiari e che danno comunque adito a dubbi sulla sua
idoneità a svolgere un lavoro da educatore. Ci furono motivazioni personali o
politiche nell’assassinio? Ci fu uno scambio di persona?
C’è poi un’appendice intrigante alla storia del martire fascista. Nella
vicenda di piazza Fontana del 12 dicembre 1969 appare un tal Nino Sottosanti,
“Nino il mussoliniano”, il sosia inserito nella trama eversiva per incastrare
l’anarchico Valpreda. Era uno dei figli di Francesco, "il martire fascista".
Un libro-cronaca in stile giornalistico, un frammento di Storia di un
tempo in cui c’erano i confini. E le tragedie private create dagli spostamenti
dei confini.
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