Casa Nostra. Qui Italia
biografia romanzata
Simona Lo Iacono, “L’albatro”
Ed. Neri Pozza, pagg. 220, Euro 16,50
Non aveva ancora compiuto 61 anni, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, quando
morì a Roma, nel luglio del 1957. Non aveva ancora pubblicato il suo unico
romanzo ispirato alla figura del bisnonno. Anzi, nel suo letto della Clinica
Villa Angela, aveva subito la frustrazione di ricevere la lettera in cui il
libro veniva rifiutato dalla casa editrice Mondadori. “Il Gattopardo” sarebbe
stato pubblicato dalla casa editrice Feltrinelli un anno dopo e avrebbe vinto
il premio Strega nel 1959. Nel 1963 il film di Luchino Visconti avrebbe imposto
nell’immaginario il volto di Burt Lancaster per il Principe Fabrizio e quello
di Claudia Cardinale per la bella Angelica. Inutile dire che sarebbe stato
meglio che il riconoscimento a lui dovuto fosse arrivato prima- e mi viene in
mente il destino uguale di Stieg Larsson (e con questo non voglio fare un
paragone di merito tra i due scrittori).
Il romanzo “L’albatro” di Simona Lo Iacono segue una duplice narrativa-
una che, dal presente dell’ultimo mese di vita dello scrittore, nel 1957, volge
lo sguardo al passato più recente, e una che inizia nel 1903, quando Giuseppe
Tomasi di Lampedusa ha 7 anni, e si proietta in avanti, fino a ricongiungersi
con l’altra.
Nella prima il presente con la consapevolezza della malattia e i
ricordi della vita da adulto, soprattutto l’esperienza traumatizzante delle due
guerre, della prigionia, del ritorno a casa che sembra quello di Ulisse ad
Itaca, dove nessuno lo riconosce. E poi l’amore per Licy, la moglie lettone che
sua madre non poteva soffrire, perché divorziata, perché aveva un lavoro,
perché era intraprendente (ma, nel suo amore esclusivo per l’unico figlio, sua
madre avrebbe mai accettato che un’altra donna glielo rubasse?), la scrittura
per ricreare un mondo distrutto. Il mondo che rivive nella seconda narrativa,
il racconto di un bambino solitario e del suo compagno di giochi, Antonno, che
lo seguirà come l’albatro della poesia di Baudelaire che la madre ha letto ad
alta voce- Spesso, per divertirsi, gli
uomini dell’equipaggio/catturano degli albatri, grandi uccelli dei mari,/che
seguono, indolenti compagni di viaggio,/il vascello che va sopra gli abissi
amari. E’ il mondo che riapparirà ne “Il Gattopardo”, quello delle due
case, a Palermo e a Santa Margherita Belice, della grande famiglia, dello zio
Alessandro che ci fa pensare a Tancredi, visto dall’adulto che ha gli occhi del
bambino e il suo sguardo è velato di malinconia, perché sa già che è un mondo destinato a scomparire. Come scompare
Antonno, il bambino che fa tutto al contrario, che scolpisce nel legno piccole
opere d’arte invece di trasformare le parole in arte, che gode di una libertà
che il piccolo Giuseppe avrebbe forse voluto, una sorta di doppio del principuzzu.
Leggendo le pagine di Simona Lo Iacono le figure di Giuseppe Tomasi di
Lampedusa e quella del Principe Fabrizio, quella di Tancredi e quella del
figlio adottivo dello scrittore, quella del cane Crab e di Bendicò, il cane del
Principe Salina, finiscono per sovrapporsi nella nostra immaginazione. E’ come
scostare le tende di un sipario e intrufolarsi dietro le quinte. Bello e ricco
di suggestioni.
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