Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
premio Pulitzer
Richard Powers, “Il sussurro del mondo”
Ed. La Nave di Teseo, trad. L. Vighi,
pagg. 658, Euro 18,70
Nove personaggi le cui vicende si dipanano nelle 658 pagine del romanzo
“Il sussurro del mondo” di Richard Powers, vincitore del premio Pulitzer 2019.
Nove personaggi le cui famiglie hanno le provenienze più disparate, come si
addice a quel ‘melting pot’ che è l’America- gli Hoel vengono dalla Norvegia
(era stato il capostipite ad dare inizio a quella che era diventata
un’ossessione ma anche una raccolta straordinaria: scattare una fotografia lo
stesso giorno di ogni mese, alla stessa ora, dallo stesso punto, ad un singolo
albero di castagno, affidando poi l’incarico- come una sorta di eredità- al
figlio e poi al nipote), il padre di Mimi Ma è fuggito dalla Cina (si è portato
dietro un prezioso disegno che rappresenta dei Budda e tre anelli di giada,
ognuno con la finissima incisione di un albero), la famiglia di Neelay arriva
dall’India (cadendo da un albero, da bambino, Neelay perderà l’uso delle gambe
e diventerà un genio del computer, fantastico ideatore di videogiochi)…
All’inizio leggiamo nove intrecci diversi che non hanno nulla in comune
tra di loro e dobbiamo assottigliare il nostro intuito per capire che cosa,
invece, leghi le storie di questi personaggi- hanno tutte a che fare con gli
alberi. L’albero delle fotografie, quelli piantati alla nascita di ogni bambina
Ma, quello da cui è caduto Neelay, quello che salva la vita di Douglas che precipita
con il suo aereo in una missione di guerra, gli alberi che ‘parlano’ a Patricia
che ne farà il suo soggetto di studio. Diventa allora chiaro che l’albero o gli alberi sono i veri protagonisti del romanzo, quelli che rubano
la scena agli esseri umani. Alberi vecchi centinaia e centinaia di anni, alberi
che si passano messaggi, che instaurano meccanismi di difesa contro le
malattie, alberi che sono una miniera di risorse anche quando il loro tronco è
abbattuto, alberi che devono essere
protetti e difesi contro la deforestazione selvaggia dettata dall’impero
economico. E allora le storie dei personaggi sembrano convergere verso questo
scopo, l’organizzazione di un ecoterrorismo che culmina con l’occupazione non
di una casa, ma di un albero, con incendi che avranno conseguenze drammatiche-
il tutto per portare alla ribalta il problema di che cosa stiano facendo gli
uomini alla natura, di quale futuro sia in serbo per gli uomini se si prosegue
in questa maniera dissennata che non valuta le infinite possibilità degli
alberi.
Nel romanzo c’è un albero gigantesco che ha un nome, Mimas, quasi fosse
un essere vivente. Mi correggo, Mimas è
un essere vivente, fa pensare al Barbalbero di Tolkien, l’essere più antico
della Terra di Mezzo, l’albero saggio che guida la marcia degli Ent contro gli
Orchi, lo spettacolo grandioso di una foresta animata come quella guidata da
Malcolm contro l’usurpatore Macbeth nel gioco di rimandi del romanzo dove due
dei personaggi portano sul palcoscenico la tragedia di Shakespeare in una
recita amatoriale.
Ecco il pregio ed ecco il difetto del libro di Richard Powers: amiamo
Mimas, e con lui tutti gli alberi del romanzo, molto di più di quanto ci
appassionino gli altri personaggi, perfin troppo numerosi, peraltro.
Lo
scrittore ci rivela un mondo che non conoscevamo, suscita in noi la curiosità e
il desiderio di saperne di più, il rimpianto per non aver contribuito a salvare
il patrimonio verde della Terra da cui dipende la nostra stessa esistenza, per
non averne preso le difese come fanno i militanti dell’ecoterrorismo. Siamo
perplessi, però, sulla maniera che ha scelto per risvegliare la nostra
attenzione, perché “Il sussurro del mondo” si avvicina di più al saggio che al
romanzo.
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