Voci da mondi diversi. Giappone
Murakami Haruki, “L’assassinio del commendatore”, libro secondo
Ed. Einaudi, trad. A. Pastore, pagg.
434, Euro 17,00
Una bella sorpresa, quella di non aver dovuto attendere molto per
leggere il secondo volume de “L’assassinio del commendatore” di Murakami
Haruki, un romanzo perfino più enigmatico del primo che ci lascia con ancora
più incertezze che non riusciremo a risolvere.
Dunque: nella casa isolata dove una volta viveva il famoso pittore Amada
Tomohiko, il protagonista e narratore sta dipingendo il ritratto della tredicenne
Marie che il misterioso e affascinante Menshiki pensa possa essere sua figlia.
Contemporaneamente dipinge pure un altro quadro che raffigura la cripta nel
bosco, quella da cui proveniva il suono di una campanella e da cui è uscito il
commendatore, che non è un fantasma ma un’idea, identico al personaggio dipinto
da Amada Tomohiko sulla tela ritrovata nell’attico. Che messaggio voleva
comunicare Amada con quel quadro? I drammi della guerra che avevano sconvolto
la sua vita e quella della sua famiglia- lui torturato dalla Gestapo a Vienna e
suo fratello morto suicida dopo aver preso parte allo stupro di Nanchino?
Ormai è impossibile parlare con Amada Tomohiko, confinato in un letto in un ricovero
di lusso e incapace perfino di riconoscere suo figlio. Come è possibile, però,
che lui, il narratore che vive nella sua casa, lo abbia visto una notte,
nell’attico, seduto con gli occhi fissi sul quadro “L’assassinio del
commendatore”? per saperlo, il nostro protagonista accompagna il figlio di
Amada a trovare il padre.
Il lettore deve abbandonare il mondo delle certezze, da questo punto in
poi. Le cose più inverosimili (inverosimili per noi, comuni mortali con i piedi
sulla terra e occhi incapaci di vedere oltre il reale) accadono, ci addentriamo
nel mondo delle metafore e delle idee (sapevamo che un’idea si potesse uccidere,
non avremmo mai immaginato, però, che potesse sanguinare- o forse sì, in senso
metaforico?), il protagonista si inoltra in una selva oscura (e noi pensiamo a
Dante, tanto più che ad un certo punto appare la Donna Anna del quadro di Amada
Tomohiko a guidarlo come fosse una novella Beatrice, e pensiamo anche a Tolkien
e alle prove che deve affrontare Frodo e ad Alice nella tana del coniglio),
deve essere traghettato al di là di un corso d’acqua che separa il nulla dalla
realtà da un nocchiero (non è Caronte, ma è senza volto) che accetta, invece
della moneta, di essere ricompensato dal pinguino di plastica che Marie teneva
attaccato al cellulare. E dove è finita Marie, in questo spazio di tempo fuori
del tempo per il narratore?
E’ inutile cercare una spiegazione razionale nel romanzo di Murakami. Di
certo, tra metafore, flashback sulla Storia del Giappone e sulle vicende
personali del protagonista, abbiamo affrontato il senso e il peso della colpa,
difficile a gestire, abbiamo imparato una lezione sul compromesso, come
recuperare il legame di coppia e come evitare di far soffrire chi di colpe
proprio non ne ha.
Un certo qual senso della realtà si recupera nel finale, dove tutto si
rischiara in un ‘happy ending’. Restano anche qui dei dubbi, però, almeno a noi-
il protagonista li supera a modo suo, ma forse è ormai abituato ai fenomeni
strani, surreali. Ecco, il romanzo di Murakami Haruki è come un quadro di De
Chirico in cui c’è molto di più di quello che si vede.
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