Voci da mondi diversi. Polonia
cento sfumature di giallo
Katarzyna Bonda, “Nessuna morte è perfetta”
Ed. Piemme, trad. Da Soller e Rescio,
pagg. 727, Euro 16,91
“Non so cosa ti aspettavi. Siamo a
Est. Ora questa è Polonia, ma siamo ai margini dello stato. Sui confini i
politici hanno sempre litigato, ma è stata la popolazione del luogo a
soffrirne. Parlo dei locali, gli abitanti delle zone di confine. Alcuni
chiamano questo territorio “Piccola Bielorussia”. Siamo sempre stati più vicini
alla Russia che alle terre occidentali”.
Siamo a Hainówka, all’estremità
orientale della Polonia. Un tempo era Bielorussia. Gli abitanti sono in parte
bielorussi e in parte polacchi. In apparenza coabitano pacificamente ma la
Storia è difficile da dimenticare. “Qui
la gente dopo anni di tempeste storiche ha imparato a tacere ad alta voce.” Quando
la profiler dai capelli rossi Sasza Załuska arriva Hainówka, non immagina neppure che cosa dovrà affrontare,
a che prezzo riuscirà ad incontrare l’uomo per cui è venuta, proprio il
presunto criminale a cui anni addietro avrebbe dovuto dare la caccia e di cui
invece si era innamorata. Apprende subito che l’uomo non è più un ospite della
clinica per disturbi mentali dove si trovava fino a poco prima- è stato
giudicato perfettamente guarito e ‘normale’, anche se Sasza neppure riesce a
parlare con il direttore che si è assentato per la festa di matrimonio di un
amico.
Da questo punto in poi il romanzo di
Katarzyna Bonda procede ad un ritmo vertiginoso e su diversi piani temporali.
Nel presente una sposa fugge subito dopo le nozze. Il marito è il padrone della
segheria che dà lavoro a buona parte degli abitanti della cittadina, è anziano,
due precedenti mogli sono scomparse- sembra di leggere la storia di Barbablu.
In uno dei flashback apprendiamo del suo passato, di che cosa gli sia successo nel
1977 che ha reso la sua vita un dramma senza fine. Una donna scompare e
compaiono invece dei crani di vecchi scheletri. L’area che circonda Hajnówka è
una foresta, il luogo ideale per seppellire corpi che non devono essere
ritrovati.
E devono essercene molti. Subito dopo la fine della guerra, nel
1946, un intero paese era stato dato alle fiamme. Lo avevano incendiato i
soldati polacchi perché gli abitanti erano ortodossi ed essere ortodossi
significava essere bielorussi. Il paese si chiamava Załuski,
proprio come Sasza- non è che, per caso, la sua famiglia era originaria di qui?
E uno dei soldati ‘maledetti’, il comandante della compagnia, si chiamava Bury
ed ora è una sorta di eroe nazionale. Questa è una storia su cui si è stesa una
coltre di silenzio, anche se tutti sapevano e la gente si recava a pregare sui
luoghi delle sepolture. Soltanto nel 1995 si è iniziato a parlarne e ad esumare
i corpi per trasportarli nel cimitero militare di Bielsk.
C’è molta violenza nel romanzo di
Katarzyna Bonda. Un tipo di violenza che ho raramente trovato nei polizieschi.
Una violenza quotidiana alimentata da fiumi di alcol, una mancanza di senso
etico nonostante una religiosità di facciata che non può che sfociare in
violenza, una inimicizia profonda che ha ragioni storiche e che inevitabilmente
conduce ad azioni e rappresaglie violente. Sono tanti i fili da tirare in
questo romanzo, tanti gli interrogativi- che fine hanno fatto le precedenti
mogli di Bondaruk (il rispettato padrone della segheria), chi ha assalito la
sposa in fuga e malmenato Sasza Załuska, chi fa recapitare i teschi e
perché, dove è finito l’ex compagno di Sasza. Il finale è da un lato
raccapricciante e dall’altro ci fa stare con il fiato sospeso- le ultime righe,
poi, non sono proprio quelle che avremmo voluto.
L’ambientazione storica del libro è di
grande interesse- sappiamo così poco al di fuori dei nostri orizzonti più
vicini-, meno apprezzabile è, invece, la svolta vampiresca che prende la trama
negli ultimi capitoli.
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