Voci da mondi diversi. Giappone
la Storia nel romanzo
Aki Shimazaki, “Nel cuore di Yamato”
Ed. Feltrinelli, trad. C. Poli, pagg.
410, Euro 19,47
Una struttura simile a quella de “Il peso dei segreti”, il libro
precedente di Aki Shimazaki, in quello appena pubblicato da Feltrinelli, “Nel
cuore di Yamato”: cinque ‘sezioni’ diverse, con cinque personaggi che parlano
di sé raccontando la loro storia, l’immagine di un fiore ad introdurre ogni
parte, un fiore altamente simbolico e con un nome che- lo scopriremo- è
significativo per la trama. Perché questo dettaglio è uno dei tanti che ci
affascinano nel libro di Aki Shimazaki- il suo uso della lingua di cui ci
insegna le sfumature con tutta la sua ricchezza. Prendiamo la parola Yamato che appare nel titolo. E’ un
antico nome per Giappone, però, proseguendo la lettura, scopriamo che il
Giappone ha anche altri nomi: l’imperatore Jinmu aveva paragonato la forma del
paese a due libellule che si accoppiano, ed ecco che akitsu, e così pure tonbo,
parole che significano entrambe ‘libellula’, significano pure ‘Giappone’. Più
avanti troveremo che wa è un altro antico
termine per Giappone e vuol dire anche ‘pace e armonia’. Che abbondanza, che
ricchezza. Il gioco delle parole non termina qui, perché Akitsu è anche il
cognome di un personaggio, e Tonbo, che appare nel titolo di una delle due
canzoni che fanno da leit motiv lungo
tutto il libro, è il nome della scuola aperta da Nobu, una delle voci narranti.
La Storia che scorre dietro le storie dei cinque personaggi ci porta nel
cuore del Giappone (come dice il titolo), ci parla dello stile di vita odierno,
del trauma della guerra, di antiche e nuove tradizioni, di poesia e di
scrittori famosi, di bullismo. Ci parla di amore, infine. Anzi, soprattutto di
amore. Per la famiglia, per il coniuge, per i figli, per il proprio paese.
E’ proprio per amore del Giappone, per
aiutare la sua ripresa dopo la sconfitta e l’occupazione americana, che è
iniziata la dedizione totale al lavoro di coloro che sono stati chiamati shōsha-men,
uomini sposati con l’azienda, con orari disumani e alienanti. Il primo
protagonista è uno shōsha-man,
disposto ad abbandonare tutto per andare in Canada su ordine dell’azienda. E
suo padre era morto d’infarto a soli 45 anni per il troppo lavoro. Eppure c’è
chi riesce a mantenere un equilibrio davanti alle pressioni e alle pesanti
richieste aziendali, come il signor Toda, segnato dalla scomparsa del padre in
Russia- uno dei punti bui della storia del Giappone-, oppure come Nobu, che si
licenzia perché non intende eseguire l’ordine di andare a lavorare in Brasile. Due
delle voci narranti sono donne e ci parlano di esperienze molto differenti,
perché Yoku ha ‘dovuto’ sposare un uomo che non amava perché il suo rifiuto
avrebbe avuto pesanti conseguenze su più di una persona (scoprendo molto tardi
che cosa si nascondeva dietro quella richiesta di matrimonio), mentre la moglie
del signor Toda ci racconta del suo colpo di fulmine per l’uomo conosciuto in
treno e che è suo marito da 56 anni.
E’ con questa dolcissima storia d’amore
che si chiude il romanzo, dopo averci fatto conoscere la cerimonia del tè,
l’arte dell’ikebana, l’usanza del miai
per combinare matrimoni, haiku e
canzoni folkloristiche, ma anche il male di vivere che spinge al suicidio- e lo
scrittore Mishima, che si suicidò nel 1970, è nominato più di una volta nel
libro, sia per le sue vicende personali sia per il suo stile di vita.Yukio Mishima |
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