Voci da mondi diversi. Russia
la Storia nel romanzo
il libro ritrovato
Olga Grushin, “La vita di sogno di Suchanov”
Ed. Ponte alle Grazie, trad.
Serena Prina, pagg. 398, Euro 18,00
“Non permettere che nessuno ti tagli le
ali”, aveva lasciato scritto il russo Pavel Suchanov in un ultimo messaggio al
figlio Anatolij. Pavel Suchanov che si era lanciato dalla finestra al ritorno
dai lunghi anni in cui era stato “in ospedale”: ma ci era stato veramente? Era
vero quello che gli aveva detto la madre molto più tardi, che suo padre era
folle? O lo avevano ricoverato con una falsa diagnosi di follia? O si era fatto
passare per folle per non essere mandato in un gulag? E poi era uscito da
quell’ospedale nel 1942 con le ali spezzate, come aveva dimostrato nel volo
dalla finestra, schiantandosi sul marciapiede.
Il motivo delle ali come simbolo
di libertà è uno dei leit-motiv de “La vita di sogno di Suchanov”, primo
romanzo di Olga Grushin, che è nata a Mosca nel 1971 e attualmente vive a
Washington. Dall’uccellino in gabbia della madre di Anatolij Suchanov, che
scatena in lui una lunga serie di ricordi, alle figure stregate che volano
leggere nell’aria dei dipinti di Chagall (uno dei genii disconosciuti dalla
madre Russia che lo ha obbligato ad un esilio volontario), allo stormo di
colombi intorno alla statua di Gogol che Anatolij bambino si divertiva a far
alzare in volo- tutte immagini che ci riportano alla vita di Suchanov al tempo
della vicenda, nella Mosca del 1985, vicino al grande cambiamento in cui
nessuno, meno che mai
Suchanov , osa sperare.
Suchanov è adesso un critico d’arte, era
un pittore che ha svenduto il suo genio, barattandolo per la sicurezza
economica. Questo è il suo tormento che, in una spirale di tempo che si
riavvolge su se stessa, lo porterà alla follia- come era successo a suo padre.
L’inizio della fine è una mostra in onore del suocero, famoso pittore del
realismo sovietico (un tempo il giovane Suchanov l’aveva definito “un asino
borioso”), nell’ambito spazio espositivo del Maneggio. Quasi un quarto di
secolo prima uno dei quadri innovativi di Suchanov era stato esposto al
Maneggio insieme ad un dipinto del suo amico Lev- nessuno li aveva visti,
Krushev li aveva fatti rimuovere, Suchanov e l’amico Lev avevano perso il
lavoro. E avevano imboccato strade diverse, senza incontrarsi più fino a questa
sera del 1985. Suchanov, così orgoglioso, appassionato, innamorato della
bellezza che gli era stata rivelata da bambino nel quadro della Venere del
Botticelli, aveva finito per accettare il lavoro di direttore di una rivista
d’arte. Nascondendo i quadri, anche quello che reinterpretava una Venere
circonfusa di fiori con il volto di sua moglie. Facendo suo il principio
sovietico che “la bellezza è per i borghesi”. Condannando Dalì e tutti gli
“ismi” occidentali come “manifestazione dell’insolvenza del capitalismo”. Mentre
adesso Lev lo invita ad una sua mostra, a vedere i suoi quadri che sono solo
pallide imitazioni di qualche artista europeo. Valeva la pena il sacrificio
della propria vita e di quella di altri per inseguire un sogno? E se ci si è
sbagliati? Se uno non ha le ali?
Suchanov vive ora quel sogno che non è
stato capace di perseguire: una volta che iniziano i ricordi, Anatolij Suchanov
entra ed esce dal sogno, passando dal presente al passato per tornare al
presente. E se sono il presente e la realtà a prevalere all’inizio, aumentano
poi i segnali di un cambiamento che Suchanov non sa interpretare- è proprio
vero che deve pubblicare un articolo su Dalì? Sarà un tranello? E perché non ha
più l’auto con l’autista?-, aumentano i ricordi- del padre, del suo insegnante
di pittura, dell’incontro con la moglie e dell’amicizia con Lev, di tele
dipinte che erano un inno alla bellezza. E infine non c’è più uno stacco tra
presente e passato, il tempo verbale usato per il passato è il presente, persone conosciute un tempo gli riappaiono con un
altro nome, lo riafferrano, riportandolo indietro. Indietro fino alla chiesa
abbandonata dove potrà dipingere sui muri, solo e libero.
Attraverso la storia di un uomo in un
regime che stritola e soffoca, il romanzo della Grushin è anche la storia di
una forma d’arte, la pittura, muta di per sé, ma con una forza rivoluzionaria
di impatto più grande delle parole perché più immediato, e ancora più
pericoloso. Ma un quadro non può circolare in samizdat, non può superare le frontiere nascosto in una tasca- il
suo destino, sotto una dittatura, è il silenzio.
la recensione è stata pubblicata sulla rivista Stilos
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