domenica 5 agosto 2018

Helena Janeczeck, “La ragazza con la Leica” ed. 2017


                                                    Casa Nostra. Qui Italia
       biografia romanzata
        premio Strega

Helena Janeczeck, “La ragazza con la Leica”
Ed. Guanda, pagg. 333, Euro 15,30

   Gerda Taro avrebbe compiuto 27 anni il giorno del suo funerale, il primo agosto 1937. C’era una folla a darle l’ultimo saluto al cimitero Père Lachaise a Parigi. E chissà che cosa c’era di lei in quella bara, schiacciata da un carro armato a Brunete, in Spagna. Meglio ricordarla da viva senza immaginarla da morta. Gerda che sorride rivolta a Robert Capa, come appare nella foto in una delle prime pagine del libro di Helena Janeczeck, “La ragazza con la Leica”, così stranamente somigliante alla miliziana spagnola che sorride all’uomo con il fucile in una pausa della guerra, uno scatto ripreso sia da Gerda sia da Robert Capa e il diverso formato delle fotografie ne è la prova. Gerda che viene descritta come bellissima da chi l’ha avvicinata. O, se non bellissima, affascinante. Perché solare, piena di vita, di interessi. Perché si gettava a capofitto in tutto quello che faceva. Era arrivata esule a Parigi dalla Germania, aveva fatto la segretaria e la modella, poi Capa le aveva regalato la sua Leica e lei ne aveva fatto la sua arma, quasi fosse la sua missione registrare la Storia del mondo- che era la guerra civile in Spagna in quel momento. Capa che non si chiamava neppure così, veramente, bensì Endre Friedmann, così come il vero nome di Gerda Taro era Gerta Porohylle. Ma come ci si poteva imporre all’attenzione, diventare fotografi famosi, con dei nomi così smaccatamente ebrei? Robert Capa (che faceva venire in mente Frank Capra, il regista) e Gerda Taro erano una loro invenzione, e quanto meglio suonavano all’orecchio.

       Non si sa poi molto di Gerda, visse così poco. La scrittrice Helena Janeczeck ne traccia il ritratto mettendo insieme le tessere di un puzzle al centro del quale c’è lei, Gerda, travolta dal carro armato (nessuno era riuscito ad impedirle di avvicinarsi troppo?), intorno a lei gli amici, gli uomini che furono, a lungo o per breve tempo, i suoi amanti, la sua migliore amica, e, sullo sfondo, le città in cui visse- Stoccarda (dove si fidanzò con un uomo che continuò ad aiutarla economicamente anche quando lei era già a Parigi), Lipsia, Parigi (dove incontrò l’ungherese Robert che si chiamava ancora Endre, più giovane di lei, geniale, estroverso, esuberante quanto lei). Il libro procede, dunque, attraverso diversi punti di vista- quello dell’amica Ruth Cerf che conosceva i dettagli più intimi della vita di Gerda, quello dello studente di medicina Willy Chardack detto ‘il Bassotto’ (innamorato senza speranza), quello di Georg Kuritzkes, militante di sinistra soppiantato nel cuore di Gerda da Endre Friedmann quando questi compare sulla scena.
E allora, dai ricordi dell’uno o dell’altro, dal libro della Janeczeck balza fuori, più che ‘la fotografia’ della sola Gerda Taro, quella di un’intera generazione, di una gioventù bruciata non da alcol e vizi ma dalla Storia tumultuosa che spazzò l’Europa dagli anni ‘30 agli anni ’50 (era il 1954 quando Robert Capa, il fotografo spericolato che aveva coperto quattro guerre, morì in Vietnam nella prima guerra di Indocina). Erano tutti antifascisti e pronti a combattere e morire per i loro ideali, e la macchina fotografica era- per Gerda Taro e Robert Capa- lo strumento per documentare gli orrori della guerra, perché la parola ‘guerra’ non restasse solo una parola ma si focalizzasse in immagini di dolore e di distruzione e di morte.

     C’è anche un piccolo ‘mystery’ nella parte finale del libro, la storia della valigia smarrita e ritrovata in Messico, quella che conteneva i negativi delle foto di Capa e che poteva comprovare la discussa autenticità della sua fotografia più famosa, quella del miliziano colpito a morte, con le braccia aperte come in croce. E c’è pure un risvolto personale che riconduce alla storia dei genitori della scrittrice, ebrea di origine polacca naturalizzata italiana da oltre trent’anni.
     “La ragazza con la Leica” ha vinto l’edizione del premio Strega 2018.

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