Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
love story
seconda guerra mondiale
Jackie Copleton,
“Quel giorno a Nagasaki”
Ed. Piemme, trad. Laura Bussotti, pagg. 312,
Una frase di una bambina di nove anni sopravvissuta all’attacco con la
bomba atomica su Nagasaki, il 9 agosto 1945 (Avevo tanta sete, perciò cercavo un po’ d’acqua…), e un haiku
giapponese di mille anni fa, che parla di amore e dello strazio di essere
abbandonato, sono l’introduzione ai due temi del romanzo “Quel giorno a
Nagasaki” della scrittrice scozzese Jackie Copleton che ha vissuto e lavorato
come insegnante nella città giapponese colpita da Fat Boy, la seconda bomba
atomica dopo quella sganciata su Hiroshima il 6 di agosto. Un romanzo che è una
storia di perdita- perdita di persone care che muoiono, perdita dell’amore,
perdita della propria identità nazionale, della voglia di vivere dopo tutto
quello che è successo.
Stati Uniti. Un uomo tra i quaranta e i
cinquant’anni suona alla porta dell’anziana Amaterasu Takahashi. Anche se è in
penombra, si vedono le cicatrici da ustione sul suo volto. “Avevo già visto
delle ustioni come quelle, in un’altra vita”, pensa Amaterasu mentre riconosce
la cadenza del sud di Kyushu. “Mi chiamo Hideo Watanabe”, dice l’uomo.
Incomincia così la storia di Ama,
del marito Kenzo (ingegnere alla Mitsubishi), della loro figlia Yuko, del
marito di questa e del loro bambino, Hideo. E di un uomo affascinante, il
medico Jomei che era stato il grande amore di Yuko- lui l’aveva sedotta quando
lei aveva solo sedici anni. La voce narrante è quella di Ama, che però è
reticente, non dice tutto subito, ci lascia indovinare che ci sono dei segreti,
delle cose non dette sul suo passato.
Ad interrompere la sua narrazione, in
corsivo, la versione di Yuko della sua storia d’amore bruscamente interrotta
dai genitori- che possibilità poteva avere un legame con un uomo sposato che ha
l’età di suo padre? Ci sarà poi, sempre in corsivo, una lettera di Jomei, una
sorta di confessione scritta prima di morire, negli anni ‘70, quando il peso
della colpa lo porta a pensare che la morte di Yuko e lo sfiguramento di Hideo
siano la punizione per quello che lui ha acconsentito a fare in quanto medico
militare a Harbin, in Manciuria.
la cattedrale di Urakami dopo la bomba |
E tuttavia, “Quel giorno a Nagasaki” è un romanzo storico e non solo un
romanzo d’amore, è il 9 agosto 1945 il giorno a cui tutto si riconduce, è l’ora
in cui si fermarono gli orologi, le 11,02 del mattino, quando i bambini erano a
scuola (la nonna aveva accompagnato Hideo- che cosa aveva visto Hideo in
giardino quella mattina? Se se lo ricordasse, sarebbe la prova che è veramente
chi dice di essere e Ama potrebbe credergli dopo averlo pianto come morto per
più di quarant’anni), e Ama era in ritardo all’appuntamento che aveva dato a
Yuko nella cattedrale di Urakami, l’epicentro dell’esplosione. Pikadon è la parola di continuo ripetuta
per parlare di quel giorno, della bomba. A forza di sentirla diventa quasi un
mantra, un mantra per assicurarci che non succeda mai più. Pika come lampo e don
come tuono fortissimo, boato- è quello che gli abitanti di Nagasaki raccontano
di aver visto e sentito. Un lampo di un’intensità accecante seguito dal boato
assordante.
statua nel parco della Pace |
Il titolo originale del libro è “Dictionary
of mutual understanding” e, ad introdurre ogni capitolo, c’è una parola
giapponese e il suo significato, una parola che ha a che fare con la cultura,
con il modo di interpretare la vita e i sentimenti, con il codice etico
giapponese- un ricchissimo dizionario che traduce per noi lo spirito del
Giappone. Ma il romanzo è un dizionario anche in altri sensi- Ama ha bisogno di
un dizionario interiore per capire se l’uomo su cui è stata costruita l’identità
di Hideo (nel 1945 era un bambino di sei anni terribilmente ferito e sotto
shock e non ricordava nulla) sia veramente il figlio della figlia Yuki, così
come ha avuto bisogno di un dizionario per capire la vita in America quando lei
e Kenzo avevano deciso di allontanarsi dal luogo del dramma e poi, ritornando
in Giappone con Hideo, per riappropriarsi delle sue memorie. E forse,
dopotutto, il libro è anche un dizionario che spiega a noi Occidentali, che
sappiamo tutto o quasi su Auschwitz, che cosa è stato Pikadon per i giapponesi.
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