Casa Nostra. Qui Italia
la Storia nel romanzo
Francesca Melandri, “Sangue giusto”
Ed. Rizzoli, pagg.527, Euro 20,00
E’ il 2010. L’anno della visita di
Gheddafi a Roma, in grande amicizia con Berlusconi. La viabilità di Roma è
stravolta da questa visita e le 500 ragazze scelte accuratamente per le lezioni
di Corano sono sulla bocca di tutti. L’ultranovantenne Attilio Profeti è più o
meno confinato a letto, accudito dalla seconda moglie che ha un quarto di secolo
meno di lui. Un ragazzo di colore suona alla porta di Ilaria, una dei tre figli
che Attilio Profeti ha avuto dalla prima moglie. Dice di chiamarsi Shimeta
Ietmengeta Attilaprofeti e di essere suo nipote, figlio del figlio che suo
padre Attilio ha avuto da una donna in Etiopia negli anni in cui gli italiani
volevano conquistarsi un posto al sole cantando, Faccetta nera, bell’abissina... Il passato si è riagganciato al
presente in “Sangue giusto” di Francesca Melandri, il mare è stato
riattraversato in direzione opposta, le azioni dei padri chiedono giustizia ai
figli.
Anche in questo romanzo, come in “Eva
dorme”, Francesca Melandri esplora un capitolo della storia italiana attraverso
la storia di una famiglia e ha trovato lo spunto iniziale perfetto, tra le
polemiche quotidiane sugli sbarchi e sull’invasione della gente di colore che porta
sulle spalle il peso di esperienze indicibili. Siamo un popolo dalla memoria
corta, o meglio, dalla memoria selettiva che ricorda solo quello che gli fa
comodo e che vuole credere nella bella favola degli ‘Italiani, brava gente’,
come dice sarcasticamente il titolo del libro dello storico Del Boca.
I figli
di Attilio Profeti sanno poco o nulla degli anni giovanili del padre. Se è per
quello, hanno saputo poco o nulla anche degli anni in cui aveva due famiglie a
Roma fino al giorno in cui aveva detto a Ilaria, “voi non siete tre, ma
quattro”, e il quarto aveva il suo stesso nome ed era il figlio di Anita che
avrebbe sposato dopo il divorzio dalla prima moglie. Non aveva detto, “siete in
cinque”, anche se sapeva che Abeba, la ragazza il cui nome significava ‘fiore’
e che lui aveva amato contro tutte le leggi fasciste, laggiù in Etiopia, gli
aveva dato, tempo addietro ormai, il suo primo figlio maschio.
Si alternano i tempi, nel romanzo della
Melandri, e si alternano le narrazioni. Si alterna la Storia ufficiale e la
storia privata e quanto peso ha la Storia grande su quella dei personaggi!
Obbliga a scelte, a schieramenti, a trattare con la propria coscienza. Attilio
Profeti, volutamente descritto come uomo di rara prestanza fisica in un’epoca
in cui si esalta la perfezione della razza ariana, non è una bella persona,
nonostante il suo fascino. Quando Ilaria, che lo ha sempre adorato, scopre
nuovi dettagli sul suo passato, resta sconvolta. Siamo sconvolti anche noi
lettori, anche se non è la prima volta che leggiamo di quanto accadde durante
la guerra d’Africa- l’uso dell’iprite, il massacro della rappresaglia dopo
l’attentato a Rodolfo Graziani, i lanciafiamme ad Amba Aradam, l’umiliante
catalogazione degli etiopi secondo misurazioni craniche e colore della pelle,
le leggi razziali.
Eppure, allora come oggi, scegliere e
uscire dalla massa era ed è possibile. L’amico di Attilio, quello che gli
avrebbe spedito le lettere di Abeba prima e di suo figlio poi, era rimasto là,
in Etiopia, con la sua ‘madama’ e i figli avuti da lei. Il giudice tormentato
dal rimorso di non aver sposato la madre di colore di sua figlia aveva però
dato il suo cognome alla bambina e l’aveva mandata a studiare in Italia. E, nel
presente, l’uomo amato da Ilaria nonostante le divergenti opinioni politiche si
ritira dal governo quando scoppia lo scandalo Ruby perché perderebbe il
rispetto di se stesso se avvallasse le dichiarazioni del Cavaliere senza Onore.
Un bel romanzo vivo e palpitante. Un
romanzo che ha il coraggio di rivangare, di parlare, di dire.
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