Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
cento sfumature di giallo
Ho afferrato al volo l’opportunità di
intervistare Ruth Ware durante una sua visita a Milano. Mi sarebbe piaciuto
farlo fin da quando avevo letto “La donna della cabina numero 10”, perché
avevo apprezzato l’ambiguità della storia. E ora, leggendo “Il gioco bugiardo”,
il libro mi aveva più che mai incuriosito con la trama ambientata nelle ‘terre
basse’ della Gran Bretagna che non conoscevo e con una vicenda che inizia con
un’amicizia tra ragazze quindicenni in un collegio e che prosegue con un
segreto che è ora di affrontare.
Vorrei iniziare dai
due personaggi che ho amato di più e che ho trovato affascinanti: esiste il
Mill, il mulino ad acqua? Esiste, magari con un altro nome, un luogo chiamato
Salton?
Sì e no. Salton come cittadina non esiste.
Quattro o cinque ani fa, però, sono andata in vacanza nel Nord della Francia, a
St. Suliac, un piccolo villaggio di pescatori descritto come uno dei più belli
della Bretagna. Sulle case erano appese reti da pesca che sembravano
gigantesche ragnatele, aveva un’aria un po’ strana, un po’ spettrale, ma
l’atmosfera, con queste reti in cui erano imprigionati anche granchi o pesci
morti, era straordinaria. E una mattina, prendendo la strada per uscire da
questo paesino, ho visto un edificio, un mulino ad acqua. Era un rudere, non ci
si sarebbe potuto abitare, senza pavimenti, ma era molto bello, e ho deciso che
dovevo metterlo in un libro. Ho preso questo villaggio e l’ho trapiantato in
Inghilterra nella zona acquitrinosa di Romney Marsh- ci passavamo da bambini, è
un paesaggio piatto, secoli fa era mare e poi la terra è affiorata. E’ molto
bello, soprattutto la mattina con la nebbiolina. Ecco, ho spostato St. Suliac
nella Romney Marsh.
E la deliziosa baby Freya: esiste e le ha dato la sua non-voce e la
sensazione del legame speciale tra mamma e bambino?
No, non esiste. Nei miei primi due libri
le protagoniste erano due donne single, ma io sono sposata e ho due bambini. Mi
sono chiesta perché non scrivere, in questo libro, di una donna nella mia
situazione, della noia della vita con due bambini. Quando guardo un film mi
secca se un bambino viene introdotto sulla scena per un paio di minuti e poi,
quando incomincia a diventare una presenza ingombrante, scompare. Nella vita di
una donna è un grande shock ritrovarsi con un bambino per 24 ore al giorno e
non riuscire a fare più niente per sé, neppure ad andare in bagno. Volevo parlare
anche dell’esperienza di essere una neo mamma, quando ti accorgi che marito e
amiche non sono più importanti nella tua vita, volevo rispecchiare l’esperienza
di avere dei bambini e dei cambiamenti che accadono, allora, nella vita di una
donna.
L’azione si svolge per lo più in un collegio femminile. Una volta
questi collegi erano principalmente per i ragazzi dell’alta borghesia: da
quando sono diventati la norma anche per le ragazze? E’ comune mandare i figli
in un convitto in Gran Bretagna? Che cosa c’è che non va nelle scuole statali?
Non è comune frequentare da interni un
collegio oggi, lo era una o due generazioni fa. Oggi la maggior parte dei
giovani frequenta le scuole statali oppure quelle private ma come esterni, cioè
non alloggiano nel collegio. Io sono andata ad una scuola statale. Ma c’è una
sorta di romanticismo nei convitti, si leggono molti libri ambientati nei
collegi. I collegi inglesi sono il 50 %
per ragazzi, il 50% per ragazze e poi ci sono quelli misti. C’era una scuola
molto prestigiosa vicino a dove abitavo io da bambina: sembrava romantica ed
eccitante, ma immagino che la realtà di essere chiusa lì dentro con le tue amiche
non fosse poi così bella, le amicizie diventavano più strette e certamente
c’era una sorta di competizione fra i legami con la famiglia e quelli con le
amiche. Volevo anche mostrare i lati negativi della vita dei convitti e delle
pressioni che si creano quando non puoi allontanarti.
Proprio questo volevo chiederle. La situazione famigliare delle quattro
ragazze non è normale. Le loro famiglie, per un motivo o per un altro, sono
assenti. Era necessario per far funzionare la trama? Per creare un forte legame
di amicizia tra di loro?
Sì, in parte era conveniente estromettere i
genitori dalla scena, per quello che succede e per come devono cavarsela da
sole. Avevo bisogno che i genitori fossero assenti. Uno dei temi del libro è il
confronto tra amicizie e famiglia. Isa ha dei legami così forti con le amiche
che non le permettono di relazionarsi altrettanto bene con il marito. Ora
scopre che la sua priorità è la figlia, scopre il contrasto tra la lealtà alle
amiche e alla figlia, si pone il problema di fino a dove sia disposta ad andare
per proteggere la sua famiglia.
Mi sono chiesta se fosse possibile stringere un legame così forte in
pochi mesi, neppure un anno di scuola, quando poi non si erano neppure più
riviste per diciassette anni.
E’ vero, ma era stato il
periodo più importante della loro vita, c’era il segreto che le teneva insieme.
Per esperienza so che ci sono delle amiche che non vedo da anni e poi, quando
ci si incontra di nuovo è come se non ci si fosse mai separate, anche se siamo
cambiate.
Fatima è musulmana, nel presente porta l’hijab e prega 5 volte al
giorno. E’ una concessione ai tempi moderni e ad un argomento molto discusso?
No, non è stata una concessione. Volevo
mostrare il modo in cui lo stesso avvenimento possa avere un effetto diverso
sulle persone. Isa non è sincera con il suo compagno, Kay affonda nel passato,
resta a vivere nel villaggio, nella casa del padre, Thea diventa dipendente
dall’alcol e Fatima ha trovato la fede. Volevo qualcuno che trattasse il trauma
in maniera positiva. Tra i miei amici quelli che traggono più forza dalla fede
religiosa sono i musulmani. Ecco perché Fatima doveva essere musulmana
dall’inizio. E poi mi sembrava realistico, adeguato ai tempi in cui viviamo.
Il significato generale della vicenda è che il passato non passa mai e
non ci si può mettere una pietra sopra a meno che non si sia venuti a patti a
suo tempo con quanto è successo?
Buona domanda. E’ uno dei significati.
Tendo a resistere alla tentazione di dire ai lettori che cosa debbano pensare,
ma sì, penso che fosse una delle cose che cercavo di dire. Qualcosa che inizia
molto piccolo può diventare molto grande, una piccola bugia può diventare
enorme. Come Isa che non ha detto subito la verità al marito.
A Lei piace giocare con l’ambiguità: è così che le appare la realtà?
Elusiva e a molti strati?
Sì, penso di sì. Penso che non mi
piacciano le motivazioni semplici, la realtà non è così accurata, la verità è
spesso quella che vogliamo credere, che è conveniente. Mi piacciono le risposte
complicate, mi piace il grigio con tutte le sfumature come colore, continuerò
ad evitare i libri in cui le domande hanno risposte semplici.
intervista e recensione saranno pubblicate su www.stradanove.net
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