Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
cento sfumature di giallo
FRESCO DI LETTURA
Gitta Sereny, “Il
caso Mary Bell. Storia di una bambina
assassina.”
Ed. Superbeat, trad. Chiara Brovelli, pagg. 359, Euro 18,00
Newcastle-upon-Tyne, nord dell’Inghilterra.
Maggio 1968. Un bambino di quattro anni, Martin Brown, viene trovato morto in una
casa abbandonata. Il medico non riesce ad appurare le cause della morte e il
caso viene archiviato come un incidente.
Due mesi dopo, fine luglio 1968,
sempre Newcastle-upon-Tyne. Un altro bambino, Brian Howe di tre anni, viene
trovato morto in una zona isolata. Questa volta i segni sul corpo parlano
chiaro: è stato strangolato. Altri tagliuzzamenti rivelano atti di sadismo. La
città è sconvolta. Non appena i sospetti
si fissano su due bambine, al dolore per la morte di Martin e di Brian se ne
aggiunge un altro, misto a sconcerto, incredulità, senso di colpa,
raccapriccio: che cosa c’è di profondamente sbagliato in una società che genera
e alleva nel suo grembo due bambine che uccidono due bambini? Mostri si nasce o
si diventa? C’erano stati dei segnali (sì, c’erano stati, nessuno ci aveva
badato) di quello che sarebbe avvenuto? Si sarebbero potute prevenire le due
morti?
Norma Bell |
“Il caso di Mary Bell”, scritto da Gitta
Sereny, giornalista e storica britannica, pubblicato per la prima volta nel
1975, è diviso in due parti. Nella prima, con il metodo che le è solito, tra il
saggio e reportage giornalistico, Gitta Sereny riferisce i fatti e le
testimonianze, riporta le udienze in tribunale, gli interventi della difesa e
dell’accusa, le deposizioni delle due bambine accusate del delitto. Norma Bell
e Mary Bell (nessuna parentela tra di loro) avevano rispettivamente tredici e
undici anni all’epoca dei fatti. Nessuno in tribunale, né il giudice né la
giuria, erano preparati a doversi esprimere su un delitto commesso da minorenni.
Atroce perché immotivato. Le motivazioni, però, rientrano nella sfera degli
adulti, così come il riconoscere il confine tra realtà e gioco. Delle due
bambine si capì subito che Mary era il leader-
molto bella e molto intelligente, capace di concentrarsi ed usare a suo
vantaggio quanto sentiva durante le udienze, una manipolatrice che pareva
essere priva di sentimenti. Norma fu assolta e Mary fu condannata all’ergastolo
e affidata a cure psichiatriche (fu rilasciata nel 1980).
Mary Bell |
Nella seconda parte del libro, oltre a
seguire Mary nei luoghi dove fu internata, Gitta Sereny approfondisce il breve
passato delle bambine, soprattutto l’ambiente famigliare in cui era cresciuta
Mary- cosa che non era stata ritenuta necessaria (a torto, secondo la Sereny)
nell’ambito del processo e neppure in seguito, quando Mary era seguita dagli
psichiatri. Quando Mary era nata (non si seppe mai con certezza chi fosse il
padre), la madre diciassettenne l’aveva respinta, gridando all’infermiera che
gliela porgeva, “portate via quella ‘cosa’”. Che premesse c’erano per la sua
educazione? Mary era stata una bambina sballottata tra la madre, le zie, la
nonna, che vedevano, capivano, si preoccupavano, ma non erano mai intervenute,
neppure quando, ripetutamente, la madre aveva cercato di uccidere la bambina.
“Il caso Mary Bell” è una lettura
sconvolgente, come lo era stata quella dei due altri famosi libri di Gitta
Sereny, “In quelle tenebre”, in cui la scrittrice ripercorre la carriera di
Franz Stangl, l’oscuro poliziotto austriaco che divenne il capo del campo di
Treblinka, e “In lotta con la verità. La vita e i segreti di Albert Speer”,
dove il personaggio che Gitta Sereny cerca di capire è l’architetto di Hitler,
il più intelligente dei suoi collaboratori, così intelligente da aver saputo
manipolare i giudici di Norimberga ed ottenere una sentenza di solo vent’anni
di carcere. E’ singolare come Gitta Sereny sia attratta dai casi estremi, dal
desiderio di trovare una spiegazione per i comportamenti malvagi- l’uomo non nasce
con la tendenza al Male, che cosa lo fa deviare? Il metodo di Gitta Sereny è
sempre lo stesso- raccogliere il maggior numero di testimonianze, far parlare
‘l’imputato’: è lei stessa avvocato della difesa e della accusa. Al lettore, se
vuole, giudicare ed emettere la sentenza.
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