mercoledì 6 dicembre 2017

Gunnar Staalesen, “Satelliti della morte” ed. 2009

                                                           vento del Nord
      cento sfumature di giallo
       il libro ritrovato

Gunnar Staalesen, “Satelliti della morte”
Ed. Iperborea, trad. Maria Valeria D’Avino, pagg. 375, Euro 16,50

Titolo originale: Dødens drabanter

Alta sulle montagne era sorta la luna, il pallido satellite della terra, distante e solitario nella sua eterna orbita intorno al caos e all’inquietudine di quaggiù. Mi venne in mente che la luna non era sola, dopotutto. Eravamo in molti a gravitare inesorabilmente intorno allo stesso caos, alla stessa inquietudine, senza poter intervenire né cambiare qualcosa. Eravamo tutti satelliti della morte.

     Varg Veum. Quando pensavamo che proprio non ci fosse più spazio sul palcoscenico internazionale su cui si affollano ispettori e commissari e detective che popolano le pagine dei romanzi di indagine poliziesca, ecco un nuovo protagonista- e che protagonista d’eccezione! Si chiama Varg Veum: lui stesso scherza sul suo nome che significa ‘lupo’ ed è così insolito che di certo non ha molti omonimi. E’ norvegese ed è ‘nato’ a Bergen nel 1947, nello stesso anno in cui è nato Gunnar Staalesen, lo scrittore che gli ha dato le origini romanzesche. Noi lettori ne facciamo la conoscenza nel libro “I satelliti della morte”, che inaugura la nuova collana “Ombre” della casa editrice Iperborea, specializzata in narrativa nordica. Tuttavia apprendiamo sul retro copertina del libro che Varg Veum è protagonista di una quindicina di romanzi, compare in una serie televisiva, ha addirittura una statua di bronzo a lui dedicata nella sua città natale. E ci domandiamo: dove si era nascosto? come mai non ne sapevamo nulla? Perché vale veramente la pena di conoscerlo.
statua di Varg Veum
    Varg Veum è un detective privato ma, in passato, lavorava nei servizi sociali per la tutela dei minori: preparatevi a leggere una storia che fa male al cuore, come qualunque vicenda che riguardi dei bambini vittime innocenti del mondo degli adulti, e però non una storia strappalacrime perché Gunnar Staalesen è troppo bravo, troppo profondamente sottile per correre il rischio del sentimentalismo della facile pietà.
La prima volta che Varg vede Janegutt, questi avrà al massimo tre anni: sporco, un pannolino strapieno di pipì, degli occhi senza espressione. I servizi sociali lo portano via da una madre che beve, si droga, che non è in grado di badare a lui. Janegutt ha sei anni quando Varg lo incontra di nuovo: il padre adottivo è morto, precipitando dalle scale. Il bambino ha ancora lo sguardo vacuo, tace. Apre solo la bocca per dire, ‘è stata la mamma’. A diciassette anni la morte soffia ancora in faccia a Janegutt che non si chiama più con il dolce diminutivo che gli aveva dato la vera mamma- ora è Jan Egil. Questa volta sono stati ammazzati, in una maniera brutale, entrambi i nuovi genitori adottivi: Jan Egil è l’unico indiziato, viene condannato al carcere. Ancora: dieci anni dopo l’uomo che era stato il convivente della madre naturale di Jan Egil viene ucciso con una mazza da baseball. Che cosa c’è in questo ragazzo per far sì che la morte gli giri sempre intorno? E’ sempre stato lui il colpevole, anche della caduta fatale di cui si era autoaccusata la madre adottiva? Fino a che punto le esperienze di vita della donna che lo ha messo al mondo hanno determinato la sua esistenza? Esiste una predestinazione?
dal film
    Varg Veum parla in prima persona nel romanzo di Gunnar Staalesen e, per quanto la sua narrazione sia per forza soggettiva, ci colpisce la sua onestà morale e intellettuale, ci piacciono la sua profonda umanità, la sua comprensione, la sua capacità di relazionarsi ad un bambino come se fosse un suo pari e più tardi ad un adolescente turbato, conquistandone la fiducia. Varg non è perfetto. Ogni tanto Varg alza il gomito; Varg è separato dalla moglie ed ha un figlio. Anche lui si occupa poco di suo figlio- certo, non è un alcolista, non è un tossico come la madre di Jan Egil, ma come si può sapere come i figli risentano dell’abbandono da parte di un genitore? E comunque l’intuizione di Varg Veum, soprattutto la sua volontà di meritarsi la fiducia di quel ragazzo così colpito dalla vita, lo portano a scavare nel passato, facendo venire alla luce fatti che in apparenza hanno ben poco a che fare con quelli del presente. In una Norvegia dal paesaggio cupo, fra montagne che paiono dure e nemiche prima di aprirsi negli squarci di bellezza dei fiordi, c’è la memoria di un antico delitto avvenuto nel 1839. Strano come si possa apprendere qualcosa di nuovo anche su di un fatto così remoto nel tempo, e la lezione è che niente è come appare.

    Vi avverto: il finale vi farà stare molto male. Anche Varg è gravemente ferito in uno scontro a fuoco, ma siamo certi che non ‘può’ morire: noi lettori vogliamo incontrarlo ancora e conoscerlo di più.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it


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