vento del Nord
cento sfumature di giallo
il libro ritrovato
Gunnar Staalesen, “Satelliti della morte”
Ed. Iperborea, trad. Maria
Valeria D’Avino, pagg. 375, Euro 16,50
Titolo
originale: Dødens drabanter
Alta sulle montagne era sorta la luna, il
pallido satellite della terra, distante e solitario nella sua eterna orbita
intorno al caos e all’inquietudine di quaggiù. Mi venne in mente che la luna
non era sola, dopotutto. Eravamo in molti a gravitare inesorabilmente intorno
allo stesso caos, alla stessa inquietudine, senza poter intervenire né cambiare
qualcosa. Eravamo tutti satelliti della morte.
Varg
Veum. Quando pensavamo che proprio non ci fosse più spazio sul palcoscenico
internazionale su cui si affollano ispettori e commissari e detective che
popolano le pagine dei romanzi di indagine poliziesca, ecco un nuovo
protagonista- e che protagonista d’eccezione! Si chiama Varg Veum: lui stesso
scherza sul suo nome che significa ‘lupo’ ed è così insolito che di certo non
ha molti omonimi. E’ norvegese ed è ‘nato’ a Bergen nel 1947, nello stesso anno
in cui è nato Gunnar Staalesen, lo scrittore che gli ha dato le origini
romanzesche. Noi lettori ne facciamo la conoscenza nel libro “I satelliti della
morte”, che inaugura la nuova collana “Ombre” della casa editrice Iperborea,
specializzata in narrativa nordica. Tuttavia apprendiamo sul retro copertina
del libro che Varg Veum è protagonista di una quindicina di romanzi, compare in
una serie televisiva, ha addirittura una statua di bronzo a lui dedicata nella
sua città natale. E ci domandiamo: dove si era nascosto? come mai non ne
sapevamo nulla? Perché vale veramente la pena di conoscerlo.
statua di Varg Veum |
Varg Veum è un detective privato ma, in
passato, lavorava nei servizi sociali per la tutela dei minori: preparatevi a
leggere una storia che fa male al cuore, come qualunque vicenda che riguardi
dei bambini vittime innocenti del mondo degli adulti, e però non una storia
strappalacrime perché Gunnar Staalesen è troppo bravo, troppo profondamente
sottile per correre il rischio del sentimentalismo della facile pietà.
La prima volta che Varg vede
Janegutt, questi avrà al massimo tre anni: sporco, un pannolino strapieno di
pipì, degli occhi senza espressione. I servizi sociali lo portano via da una
madre che beve, si droga, che non è in grado di badare a lui. Janegutt ha sei
anni quando Varg lo incontra di nuovo: il padre adottivo è morto, precipitando
dalle scale. Il bambino ha ancora lo sguardo vacuo, tace. Apre solo la bocca
per dire, ‘è stata la mamma’. A diciassette anni la morte soffia ancora in
faccia a Janegutt che non si chiama più con il dolce diminutivo che gli aveva
dato la vera mamma- ora è Jan Egil. Questa volta sono stati ammazzati, in una
maniera brutale, entrambi i nuovi genitori adottivi: Jan Egil è l’unico
indiziato, viene condannato al carcere. Ancora: dieci anni dopo l’uomo che era
stato il convivente della madre naturale di Jan Egil viene ucciso con una mazza
da baseball. Che cosa c’è in questo ragazzo per far sì che la morte gli giri
sempre intorno? E’ sempre stato lui il colpevole, anche della caduta fatale di
cui si era autoaccusata la madre adottiva? Fino a che punto le esperienze di
vita della donna che lo ha messo al mondo hanno determinato la sua esistenza?
Esiste una predestinazione?
dal film |
Varg Veum parla in prima persona nel
romanzo di Gunnar Staalesen e, per quanto la sua narrazione sia per forza
soggettiva, ci colpisce la sua onestà morale e intellettuale, ci piacciono la
sua profonda umanità, la sua comprensione, la sua capacità di relazionarsi ad
un bambino come se fosse un suo pari e più tardi ad un adolescente turbato,
conquistandone la fiducia. Varg non è perfetto. Ogni tanto Varg alza il gomito;
Varg è separato dalla moglie ed ha un figlio. Anche lui si occupa poco di suo
figlio- certo, non è un alcolista, non è un tossico come la madre di Jan Egil,
ma come si può sapere come i figli risentano dell’abbandono da parte di un
genitore? E comunque l’intuizione di Varg Veum, soprattutto la sua volontà di
meritarsi la fiducia di quel ragazzo così colpito dalla vita, lo portano a
scavare nel passato, facendo venire alla luce fatti che in apparenza hanno ben
poco a che fare con quelli del presente. In una Norvegia dal paesaggio cupo,
fra montagne che paiono dure e nemiche prima di aprirsi negli squarci di
bellezza dei fiordi, c’è la memoria di un antico delitto avvenuto nel 1839.
Strano come si possa apprendere qualcosa di nuovo anche su di un fatto così
remoto nel tempo, e la lezione è che niente è come appare.
Vi avverto: il finale vi farà stare molto
male. Anche Varg è gravemente ferito in uno scontro a fuoco, ma siamo certi che
non ‘può’ morire: noi lettori vogliamo incontrarlo ancora e conoscerlo di più.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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