Voci da mondi diversi. Asia
biografia romanzata
FRESCO DI LETTURA
Shrabani Basu,
“Vittoria e Abdul”
Ed. Piemme, trad. L. Rosaschino, pagg. 312, Euro 18,50
Quando era diventata Regina d’Inghilterra
nel 1837, Vittoria aveva solo diciotto anni. A quarantadue anni rimase vedova
dell’amatissimo principe Alberto- da quel momento in poi non smise mai di
vestirsi a lutto. Nel 1887 si sentiva più che mai triste mentre la Gran
Bretagna, anzi l’Impero, si preparava a festeggiare il Giubileo d’Oro. Era
sola, quattro anni prima era morto John Brown, lo scozzese che era stato suo
servitore, amico, amante, forse anche suo marito. E gli anni incominciavano a
pesarle. La vita, però, è piena di sorprese; quando si pensa che tutto sia
finito, può accadere qualcosa, si può fare un incontro che accenderà una fiamma
e, come per miracolo, sembrerà di vivere una seconda gioventù. E’ quello che
succede alla regina Vittoria quando incontra Abdul Karim, il venticinquenne
indiano mandato da Agra perché diventi suo servitore.
Il libro di Shrabani Basu, “Vittoria e
Abdul”, è arrivato sui nostri scaffali quasi in contemporanea con il film che
vede una grande Judi Dench nei panni della regina. Non ho ancora visto il film,
temevo che il libro fosse una storia sdolcinata e molto scontata su un rapporto
senza equilibrio fra un’anziana donna di potere e un bel giovane che approfitta
della situazione. Che Abdul Karim approfitti della situazione è ben presto
chiaro, non è vero invece che il libro sia una storia sdolcinata. Laureata in
storia e giornalista, Shrabani Basu ha scritto un libro ‘serio’, fitto di
riferimenti alle fonti, con citazioni di lettere e messaggi. Non si permette
mai di ‘ricamare’, di inventare, di supporre. A noi, forse, andare al di là,
indovinare quali possano essere stati i sentimenti della regina che è sempre
consapevole dell’enorme differenza di età tra lei e il giovane che avrebbe preso
il posto di John Brown (il quale, almeno, era quasi suo coetaneo) anche se è
difficile immaginare una differenza più grande tra i due uomini.
In un momento
così buio della sua vita fu il colore dell’India che Abdul portava con sé ad
affascinare la regina. Il fatto di essere Imperatrice dell’India l’aveva sempre
gratificata, la metteva alla pari dell’Imperatore di tutte le Russie. A
Vittoria piaceva fantasticare sull’India. E adesso l’India era venuta a lei,
con due servitori dagli abiti di una foggia strana, con un turbante in testa,
con la pelle che parlava di sole e di altri climi, gli occhi come carboni.
Passo dopo passo, con innegabile furbizia ma anche tatto, Abdul Karim rese la
sua presenza indispensabile alla regina, lasciando nell’ombra l’altro indiano
che era arrivato con lui. Le parlava di Agra e di quello straordinario tempio
all’amore che è il Taj Mahal, le lasciò intendere che proveniva da una famiglia
‘quasi’ nobile, che suo padre era medico (era vero che lavorava in un ospedale
e che aveva cognizioni mediche), che lui non era mai stato un servitore. Fu
così che divento il Munshi, il segretario della regina, e anche il suo
insegnante privato di urdu.
John Brown |
Non si insinua mai, nel libro di Shrabani
Basu, che ci fosse altro che amicizia tra Vittoria e Abdul, è l’entourage a
insinuare e a temere. Quando la moglie di Abdul Karim arrivò in Inghilterra,
l’amicizia della regina si estese anche a lei. E’ il personaggio di Abdul che
appare meno limpido, con le sue continue richieste di favori e di titoli, per
sé e per la sua famiglia, con i suoi contatti che fecero perfino sospettare che
fosse una spia. E comprendiamo bene il montare dell’ostilità dei figli della
regina, del suo medico personale, di tutta la corte nei confronti di Abdul,
sempre maggiore quanto maggiore è l’ostinazione della regina a difenderlo e a
proteggerlo, anche quando è indifendibile.
Una piacevole lettura, uno sguardo dietro
le quinte della vita di una regina che ha dato il suo nome ad un’intera epoca-
non era poi così ‘vittoriana’, inibita e pudica, questa regina Vittoria.
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