giovedì 16 novembre 2017

Shrabani Basu, “Vittoria e Abdul” ed. 2017

                                                          Voci da mondi diversi. Asia
        biografia romanzata
         FRESCO DI LETTURA

Shrabani Basu, “Vittoria e Abdul”
Ed. Piemme, trad. L. Rosaschino, pagg. 312, Euro 18,50

     Quando era diventata Regina d’Inghilterra nel 1837, Vittoria aveva solo diciotto anni. A quarantadue anni rimase vedova dell’amatissimo principe Alberto- da quel momento in poi non smise mai di vestirsi a lutto. Nel 1887 si sentiva più che mai triste mentre la Gran Bretagna, anzi l’Impero, si preparava a festeggiare il Giubileo d’Oro. Era sola, quattro anni prima era morto John Brown, lo scozzese che era stato suo servitore, amico, amante, forse anche suo marito. E gli anni incominciavano a pesarle. La vita, però, è piena di sorprese; quando si pensa che tutto sia finito, può accadere qualcosa, si può fare un incontro che accenderà una fiamma e, come per miracolo, sembrerà di vivere una seconda gioventù. E’ quello che succede alla regina Vittoria quando incontra Abdul Karim, il venticinquenne indiano mandato da Agra perché diventi suo servitore.

    Il libro di Shrabani Basu, “Vittoria e Abdul”, è arrivato sui nostri scaffali quasi in contemporanea con il film che vede una grande Judi Dench nei panni della regina. Non ho ancora visto il film, temevo che il libro fosse una storia sdolcinata e molto scontata su un rapporto senza equilibrio fra un’anziana donna di potere e un bel giovane che approfitta della situazione. Che Abdul Karim approfitti della situazione è ben presto chiaro, non è vero invece che il libro sia una storia sdolcinata. Laureata in storia e giornalista, Shrabani Basu ha scritto un libro ‘serio’, fitto di riferimenti alle fonti, con citazioni di lettere e messaggi. Non si permette mai di ‘ricamare’, di inventare, di supporre. A noi, forse, andare al di là, indovinare quali possano essere stati i sentimenti della regina che è sempre consapevole dell’enorme differenza di età tra lei e il giovane che avrebbe preso il posto di John Brown (il quale, almeno, era quasi suo coetaneo) anche se è difficile immaginare una differenza più grande tra i due uomini.
John Brown
In un momento così buio della sua vita fu il colore dell’India che Abdul portava con sé ad affascinare la regina. Il fatto di essere Imperatrice dell’India l’aveva sempre gratificata, la metteva alla pari dell’Imperatore di tutte le Russie. A Vittoria piaceva fantasticare sull’India. E adesso l’India era venuta a lei, con due servitori dagli abiti di una foggia strana, con un turbante in testa, con la pelle che parlava di sole e di altri climi, gli occhi come carboni. Passo dopo passo, con innegabile furbizia ma anche tatto, Abdul Karim rese la sua presenza indispensabile alla regina, lasciando nell’ombra l’altro indiano che era arrivato con lui. Le parlava di Agra e di quello straordinario tempio all’amore che è il Taj Mahal, le lasciò intendere che proveniva da una famiglia ‘quasi’ nobile, che suo padre era medico (era vero che lavorava in un ospedale e che aveva cognizioni mediche), che lui non era mai stato un servitore. Fu così che divento il Munshi, il segretario della regina, e anche il suo insegnante privato di urdu.

    Non si insinua mai, nel libro di Shrabani Basu, che ci fosse altro che amicizia tra Vittoria e Abdul, è l’entourage a insinuare e a temere. Quando la moglie di Abdul Karim arrivò in Inghilterra, l’amicizia della regina si estese anche a lei. E’ il personaggio di Abdul che appare meno limpido, con le sue continue richieste di favori e di titoli, per sé e per la sua famiglia, con i suoi contatti che fecero perfino sospettare che fosse una spia. E comprendiamo bene il montare dell’ostilità dei figli della regina, del suo medico personale, di tutta la corte nei confronti di Abdul, sempre maggiore quanto maggiore è l’ostinazione della regina a difenderlo e a proteggerlo, anche quando è indifendibile.


    Una piacevole lettura, uno sguardo dietro le quinte della vita di una regina che ha dato il suo nome ad un’intera epoca- non era poi così ‘vittoriana’, inibita e pudica, questa regina Vittoria.


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