Voci da mondi diversi. Europa dell'Est
la Storia nel romanzo
romanzo di formazione
il libro ritrovato
Magda Szabò, “Abigail”
Ed. Anfora, trad. Vera Gheno,
pagg. 290, Euro 12,00
Una delle conseguenze più straordinarie
della caduta del muro di Berlino, per gli amanti della letteratura, è stata lo
spalancarsi delle frontiere della mente, la possibilità di venire in contatto
con altre culture, sapere di altre vite, esperienze, pensieri. Della scrittrice
e poetessa ungherese Magda Szabò (nata nel 1917 a Debrecen) la casa
editrice Feltrinelli aveva pubblicato nel lontano 1964 “L’altra Ester” e solo
in questi ultimi anni abbiamo potuto leggere altri suoi romanzi, “La porta” e
“La ballata di Iza” (entrambi pubblicati da Einaudi), e il libro per ragazzi
“Lolò, il Principe delle Fate” (ed. Anfora) che uscirà fra poco in adattamento
cinematografico. “Abigail” è andato alle stampe nel 1970 in Ungheria e
finalmente è arrivato a noi nell’ottima traduzione di Vera Gheno, ancora a cura
della casa editrice Anfora. E quello che ci colpisce immediatamente, iniziando
a leggere “Abigail”, è come sia facile per Magda Szabò cambiare registro e
restare sempre una grande, anzi grandissima scrittrice. Si rivolgeva
all’infanzia in “Lolò”, metteva in primo piano una donna anziana in “La porta”
e poi ancora una “vecchia” e sua figlia ne “La ballata di Iza”, e ci racconta
di una ragazzina quattordicenne in “Abigail”, sorprendendoci- o forse non
dovremmo restare sorpresi?- con la sua capacità di immedesimazione, con
l’abbondanza di dettagli con cui descrive la vita in un collegio femminile, gli
innocenti giochi segreti in una comunità ristretta, le finzioni, le congiure, i
sogni adolescenziali.
“Abigail” è un romanzo di formazione al femminile
durante gli anni della seconda guerra mondiale quando la vita dei singoli venne
inghiottita dalla Storia e, come sempre riesce a fare Magda Szabò, la storia
privata si intreccia inestricabilmente con quella pubblica, nessuno è esonerato
dal prendere una posizione politica, i quesiti morali che riguardano la giovane
Georgina Vitay e suo padre acquistano una risonanza più vasta, coinvolgendo altri
che restano nell’ombra.
Quando Georgina viene
accompagnata dal padre, un generale dell’esercito ungherese, in un collegio quasi
ai confini dell’Ungheria e lontano da Budapest, rinomato per le sue regole
severe, in un edificio a metà tra fortezza e prigione dove nessun estraneo può
entrare, la ragazzina pensa che questa sia una punizione (per essersi
innamorata del bel tenente Feri?), che sia una sorta di esilio (vuole forse
risposarsi suo padre, rimasto vedovo quando lei era piccola?)- il distacco da
lui, dalla allegra zia Mimò, dal
possibile fidanzato, dalle amiche, dalla città, è penoso per lei. Difficile
adattarsi, alla lugubre divisa, a quella pettinatura con le trecce legate dallo
spago, a fare a meno di qualunque oggetto personale, al permesso di ricevere
una sola telefonata alla settimana dal padre (strano, le altre ragazze scrivono
lettere, lei no) e, comunque, a non potergli dire nulla.
La crescita di Georgina passa attraverso un
avvicinamento iniziale alle compagne di classe, la stizza per un gioco in cui
lei si sente offesa, il suo tradimento, il conseguente totale isolamento in cui
viene abbandonata dalle altre ragazze che la ignorano, e infine il tentativo di
fuga. E’ questo il punto di volta, perché Georgina viene portata indietro al collegio
ma non può più ritornare ad un’ignara fanciullezza. Perché sarebbe troppo
pericoloso e il padre deve metterla al corrente del segreto: il generale Vitay
è uno dei capi della resistenza militare alla guerra ed è per proteggere la
figlia che l’ha “rinchiusa” nel collegio, perché, in caso che lui venga
arrestato, Georgina non possa essere rintracciata ed usata come ricatto per
farlo parlare.
Da questo punto la narrazione diventa più
incalzante, attraverso un succedersi di eventi simili ma nello stesso tempo
diametralmente opposti a quelli avvenuti nella prima metà del romanzo. Ora che
Georgina sa, il collegio si trasforma da prigione a santuario, ogni limitazione
sembra lieve a paragone dei bombardamenti di cui le allieve sperimentano solo
la simulazione, il valore dell’amicizia si fa inestimabile a fianco della viltà
del tradimento- Georgina che aveva tradito le compagne conosce ora il ben più
grave, doloroso perché inatteso, tradimento dell’innamorato di un tempo che
riappare all’improvviso. E ci sarà una seconda fuga, questa volta aiutata e
necessaria, che si dipartirà dalla stessa casa della ex studentessa da cui
Georgina aveva programmato la precedente.
Chi conosce la Bibbia è in grado di capire
subito il significato del titolo, “Abigail”, e di raccogliere altri indizi nel
corso della lettura. Perché Abigail è la donna che si è umiliata davanti a re
David per salvare il marito: chi si nasconde dunque dietro la statua con questo
nome a cui si rivolgono per aiuto le studentesse, infilando bigliettini con le
loro richieste nella sua anfora? Questa è l’ultima lezione che deve imparare
Georgina: la verità è molto spesso diversa da quella che appare. E il coraggio
si dimostra non solo davanti a grandi prove, ma anche di fronte a quisquilie
quotidiane.
Un grande libro, una grande
Szabò.
una nuova edizione del libro, riveduta e corretta, è stata pubblicata quest'anno.
Questa recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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