Voci da mondi diversi. Penisola balcanica
cento sfumature di giallo
il libro ritrovato
Petros Markaris, “La balia”
Ed. Bompiani, trad. Andrea Di
Gregorio, pagg. 288, Euro 18,00
Avviene per
Petros Markaris quello che succede per il nostro Camilleri: i lettori aspettano
con ansia ogni nuova avventura del commissario- Kostas Charìtos o Montalbano- e
la curiosità ha la meglio sopra la consapevolezza che, ogni volta, scrittori e
personaggi sono un poco più stanchi.
Il nuovo romanzo di Petros
Markaris si intitola “La balia”, ma forse “la giustiziera” sarebbe stato un
titolo più azzeccato. E si annuncia subito come un romanzo diverso dai
precedenti, prima di tutto perché non si svolge ad Atene ma a Istanbul, dove
Kostas e la moglie sono andati in gita turistica. E poi perché sovverte tutte
le regole del romanzo poliziesco: l’identità dell’assassino è nota fin
dall’inizio e non ci sarà una fine in cui il colpevole è arrestato e giustizia
viene fatta. Almeno non ci sarà una giustizia umana.
La vicenda è
presto riassunta. Mentre Kostas è in vacanza in Turchia, viene raggiunto da una
telefonata del suo capo: una donna molto anziana ha ucciso il fratello, in
Grecia, mettendogli del veleno in una torta di formaggio. Se tutto si limitasse
a questo, il caso spetterebbe solo alla polizia greca. Invece la donna, Maria
Hambou, che in passato aveva fatto parte della comunità greca a Istanbul,
compie una serie di omicidi pure nella città turca, tutti eseguiti con la
stessa semplicissima modalità. La torta di formaggio, o meglio, la tyròpita,
viene usata dalla vecchia Maria in una duplice maniera: come arma per uccidere
chi è stato malvagio (e non solo nei suoi confronti, ma anche verso persone a
lei care) e come omaggio di ringraziamento per chi, invece, ha mostrato bontà e
generosità. Ad un certo punto appare chiaro, insomma, che la vecchia Maria-
molto ammalata e ormai prossima alla morte- ha deciso di tirare fuori il suo
personale registro di contabilità e anticipare una incerta giustizia divina.
E’ una trama esile, come si vede, ma quello che è decisamente più
interessante nel romanzo sta nell’ambientazione- in parte in un colorito
percorso della capitale turca che Kostas visita per la prima volta e che noi
vediamo attraverso i suoi occhi, e soprattutto nella storia dei rapporti
greco-turchi che spiegano pure la vendetta di Maria Hambou. Non so quanti lettori
sapessero che per i greci Istanbul continua a chiamarsi Costantinopoli,
altrimenti detta semplicemente ‘la
Città ’, memori di quella che era la capitale dell’Impero
romano bizantino. E che pure gli abitanti si distinguono in costantinopolitani
e stambulioti, a seconda che siano greci o turchi. E che i greci della Città
subirono una vera e propria persecuzione, nel 1922 e poi ancora nel 1955, e
furono obbligati a tornare in Grecia, abbandonando o svendendo le loro
proprietà in Turchia. Mentre tassazioni pesantissime favorivano quelli che
furono dei veri e propri furti, con vicini di casa o di negozio che facevano
man bassa, arricchendosi a spese dei greci.
Il tema delle minoranze e delle difficoltà
ambientali in cui queste vivono viene ripreso tramite un altro personaggio, il
commissario turco a cui Kostas si affianca nelle ricerche. Murat è, per certi
versi, meglio di Kostas, così come la Turchia viene spesso rappresentata, benevolmente
e con lieve ironia, più progredita rispetto alla Grecia. Murat ha vissuto e
studiato in Germania, dove vivono tuttora i suoi genitori; Murat parla un
ottimo inglese; la moglie di Murat è laureata. E Murat ha lasciato la Germania quando sua
moglie ha deciso di portare il velo e i suoi colleghi hanno iniziato a fare
battute ‘pesanti’.
Nel romanzo, tuttavia, molto spazio è dato ai litigi tra Kostas e la
moglie, alle vicende della figlia Caterina che si è sposata con rito civile e
ora, ripensandoci, celebrerà anche le nozze in chiesa, alle spese di Adriana Charìtos
nei mercati di Istanbul…troppo per un libro che si propone come di indagine
poliziesca.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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