Voci da mondi diversi. Medio Oriente
love story
il libro ritrovato
Shlomit Abramson, “Il
libro di Tamàr”
Ed. Giuntina, trad. Patrizia Sciumbata, pagg. 262, Euro
15,00
Quella mattina nonna Tabita la fece accostare al palo della tenda. Con
il dito segnò dove arrivava la sua testa, per vedere meglio socchiuse un occhio
e avvicinò l’altro. Sospirò di sollievo. Malgrado la bassa statura continua a
crescere, disse a voce alta, come al suo solito, e segnò la nuova altezza sul
legno solcato da crepe.
Se diamo un’occhiata agli scaffali delle
librerie, si ha l’impressione che il genere più diffuso al momento sia quello
del thriller o del noir che dir si voglia. Scandinavo, siciliano, greco,
americano o cinese- commissari di ogni nazionalità si affollano sul
palcoscenico delle indagini poliziesche. E però ogni tanto ci si stanca di
leggere di cadaveri e di serial killer e di corruzioni e furti. E’ stata una
bella sorpresa, un piacere inaspettato, prendere tra le mani “Il libro di
Tamàr” di Shlomit Abramson, senza sapere che cosa avremmo letto, con solo un
avvertimento recondito nella memoria davanti a quel nome, Tamàr.
E Giuda prese una moglie per il
suo figlio primogenito Er, e il suo nome era Tamar. Ma Er, primogenito di
Giuda, era malvagio agli occhi di Dio, e Dio lo mise a morte. Allora Giuda
disse a Onan, “Va dalla moglie di tuo fratello e fa con lei quello che deve un
cognato, e genera discendenti per tuo fratello. Ma Onan sapeva che i discendenti
non sarebbero stati suoi. Allora, ogni volta che si accostava alla moglie di
suo fratello spargeva il suo seme sul terreno, in modo da non dare una
discendenza al fratello. (GN, 38, 6-10)
Le figure femminili sono numerose nella Bibbia, ma spesso non viene dato
loro il giusto rilievo. Troppo spesso, inoltre, i personaggi biblici restano
chiusi nelle parole scarne che li raccontano- Shlomit Abramson ha preso Tamàr e
ne ha fatto una protagonista di carne e di sangue che ci intenerisce, ci fa
provare prima compassione per lei e poi ammirazione per la sua determinazione e
il suo coraggio. Deve inventare, Shlomit Abramson, costruendo una storia sui
brevi paragrafi della Bibbia che culminano con Tamàr che si finge una prostituta
sacra e irretisce il suocero restando incinta di lui. Deve immedesimarsi con la
bambina che ha perso tutti i denti da latte ma non ha ancora visto ‘il sangue
delle donne’ e che, però, deve montare sul dorso del cammello e allontanarsi
dalla famiglia per andare sposa ad un ragazzo a cui è stata promessa fin dalla
nascita. Doveva essere così, allora, sarà stato così anche per Maria, la madre
di Gesù. Ma, perché è la consuetudine, è forse minore, il trauma del distacco,
di essere frugata da mani maschili di uno sconosciuto? Nel racconto della
Abramson Tamàr soffre di solitudine, tanto più che Er la evita, finge solo di
sdraiarsi accanto a lei. Ed è inevitabile che Tamàr ricambi l’amore di Onan, il
fratello di Er, quasi a sostituire l’attrazione che provava per il cugino che
ha lasciato, così come l’affetto che le dimostra Bilha, una moglie del vecchio
Giacobbe, attutisce in lei la nostalgia per la nonna. Il personaggio di Bilha è
un ottimo pretesto per raccontarci altre storie, con altri personaggi- sembrano
divagazioni, ma è tipico della tradizione del racconto orale, il parlare di
qualcuno e poi agganciare le vicende di questo con quelle di qualcun altro- è
come leggere la Bibbia trasformata in un grande romanzo: Giacobbe (l’uomo
debole che vinse la primogenitura), le sue due mogli sorelle, Lea e Rachele, e
poi le altre due mogli, i figli di Lea e la sofferta sterilità di Rachele (nasceranno
poi due maschi), i litigi e le gelosie tra le donne, lo stupro della bella Dina
dai capelli rossi e soprattutto la colpa indicibile, l’assassinio di Giuseppe,
figlio di Rachele, il prediletto di Giacobbe, da parte dei fratelli.
L’inventiva di Shlomit Abramson non dà
soltanto un tocco di modernità alla vicenda di Tamàr, facendocela sentire come
una ragazza di ogni tempo, non trasforma soltanto il finale della storia della
sposa bambina che si prende una rivincita sugli uomini padroni, ma dipinge
anche il popolo ebraico come gente nomade, politeista, un popolo che non sembra ancora essere stato scelto,
‘eletto’ dall’unico Dio.
Un racconto affascinante che dà
vita ad una vecchia eterna storia.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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