Intervista a Guzel Jachina
Voci da mondi diversi. Russia
E’ piccola, minuta, con i capelli cortissimi e grandi occhi. Le dico che
ci tenevo tantissimo ad incontrarla, che ho amato molto il suo libro. L’interprete
le traduce in russo. Lei sorride.
Inizia così il mio incontro con
Guzel’ Jachina, a Milano per partecipare all’evento letterario della Milanesiana.
Chi è Zuleika?
E’ un personaggio inventato, ispirato
dalla sorte di mia nonna. La nonna è stata vittima delle purghe staliniane
negli anni ‘30 ed ha seguito i suoi genitori nell’esilio siberiano quando era
solo una bambina- ha vissuto sedici anni in esilio. La nonna è cresciuta in
Siberia. Io ho deciso di raccontare non il destino di una bambina, ma di una
donna adulta che vive la seconda possibilità che la sorte le propone, una donna
che sembrava aver terminato il ciclo produttivo e scopre in Siberia che tutto
ricomincia proprio lì. La vita siberiana è diversa da quella di prima e il
viaggio della protagonista è non solo un vero e proprio viaggio ma anche un
viaggio mentale e interiore. Abbandona il passato arcaico ed entra nel mondo
presente paradossalmente proprio in questo esilio.
Chi le ha raccontato questa storia? La bisnonna? O la nonna?
Non ho conosciuto la mia
bisnonna, era morta prima che io nascessi. Ho saputo molte cose dai racconti
della mia nonna. Purtroppo, però, non sono stata così brava a registrare i suoi
racconti e ho dovuto leggere e cercare dettagli nei documento scritti. Ho letto
moltissimi libri di memorie di persone che hanno subito la dekulakizzazione- un
kulako (la parola vuol dire ‘pugno’) è uno che non è interamente povero ma,
siccome c’era la lotta di classe, Stalin voleva che questa gente fosse privata
di ogni bene e messa nel kolchoz. Quelli che non erano consenzienti venivano
mandati in esilio. La dekulakizzazione, quindi, è l’esilio. Mettendola in
cifre, questa sorte toccò a tre milioni e mezzo di persone. Moltissime persone
furono mandate così lontano che la sopravvivenza per loro era difficile- nelle
steppe del Kazakistan, o nell’estremo Nord e in Siberia. Furono catapultati su
spazi incolti dove crearono nuovi centri abitati. All’inizio si scavarono un
rifugio sottoterra e dopo costruirono le isbe. Era un’esistenza primitiva.
Negli anni ‘30 furono create 1800 cittadine come queste, con una popolazione di
sei milioni di abitanti in totale. Questa è la storia nel mio romanzo.
Si dice spesso, nel libro, che Zuleika e altri deportati non capiscono
il russo: di quale ceppo etnico fanno parte i tatari, in quale area vivono,
qual è la loro cultura?
Nel mondo ci sono 12 milioni di tatari, 5
milioni in Russia e, tra questi, 2 milioni in Tatarstan che è una regione che
si chiama Repubblica di Tatarstan, fa parte della Russia, si trova lungo il
Volga e il Kama e ha per capitale Kazan. Il kanato di Kazan fu inglobato nell’intera
Russia nel 1552 e fu la conquista di maggior successo per lo zar Ivan il
Terribile. A Kazan due culture, quella tatara e quella russa, convivono fianco
a fianco. C’è la moschea e c’è la chiesa cristiana, il 30% dei matrimoni sono
misti- una percentuale sempre uguale nel tempo. E la lingua tatara appartiene
al ceppo delle lingue turche.
Kazan |
Zuleika è musulmana: i tatari sono tutti di religione musulmana? Hanno potuto
mantenere la loro religione sotto Stalin?
Sì, l’Islam è la religione dei tatari anche se, in epoca sovietica, sono
diventati atei perché la religione non era concessa. Le moschee furono chiuse e
ricordo di avere visto, nella mia infanzia, moschee con i minareti troncati. Furono
trasformate in luoghi di divertimento o asili nido. Io frequentavo una scuola
di scherma in quella che era stata una chiesa luterana. Nel romanzo c’è una
convivenza di religione islamica e residui di credenze pagane, ed è normale per
questa religione. Ricordo di aver visto nella casa di campagna dei miei nonni i
residui di questa polifonia di religioni. Sulla palizzata c’erano tre teschi,
di un cavallo, di una mucca e di una pecora. Erano stati messi lì per
spaventare gli spiriti maligni. I miei nonni erano atei, ma non si sa mai, per
ogni evenienza è meglio seguire le antiche credenze…Ecco, volevo incastrare nel
mio libro questi ricordi della mia infanzia. La casa dove vive Zuleika, la
divisione dello spazio tra uomini e donne, le stalle- questo è come l’ho visto nella
casa dei nonni quando ero piccola.
Ci sono i buoni e ci sono i cattivi nel suo romanzo, come sempre e come
ovunque. E però sembra che prevalga l’ottimismo nel romanzo, che i buoni siano
in numero maggiore. Sono tanti quelli che cercano di aiutare Zuleika e il suo
bambino. E’ forse il carattere di Zuleika che tira fuori il buono dalle
persone?
Per me era importante
trasmettere l’atmosfera di bontà di cui mi ha raccontato la nonna descrivendo i
suoi ricordi di infanzia nel villaggio. C’era un’atmosfera di amicizia, di
fratellanza, una sensazione di parentela e bontà che la nonna ha assorbito
quando era piccola ed è rimasta con lei per tutta la vita. Naturalmente la vita
in Siberia era tragica, ma c’erano barlumi di felicità basata sui sentimenti
che l’addolcivano.
Mi è piaciuto molto il personaggio di Ignatov che mi è sembrato
complesso, completo, credibile. C’è un seguito alla storia di Zuleika e
Ignatov?
No, non ci sarà un
seguito. Questa storia è nata come sceneggiatura per un film. In questa
sceneggiatura poteva essere inserita anche una nuova esperienza di Juzuf nel
2015, quando ritorna nel villaggio e trova solo le rovine. Nel romanzo questo
seguito non c’è. Ci sarà invece una serie di otto film per la televisione e lì questo
episodio c’è.
Mi è piaciuta molto anche la natura selvaggia: è stata laggiù sulle
tracce di Zuleika?
No, purtroppo no. sono
andata per la prima volta a Krasnojarsk, centro del territorio dei lager, a
novembre dello scorso anno. Ho trovato migliaia di persone che mi volevano
abbracciare perché il mio libro era l’unico che raccontava questa realtà dei
gulag. Quando lavoravo al romanzo volevo andare sul posto, però il viaggio per
arrivare a dove era stata la mia nonna era così difficile che non ho avuto il
coraggio di farlo. Bisognava arrivare prima a Krasnojarsk, poi prendere l’aereo
e poi fare ancora 300 km. sul fiume. Il viaggio sarebbe durato due settimane. E
poi ho scoperto che il villaggio della nonna non c’era più. C’è però il
cimitero e ogni anno un gruppo di discendenti di coloro che sono vissuti e sono
morti laggiù prende la barca per andare a curare le tombe.
Krasnojarsk |
Quanto si sa tra la gente comune di quello che è successo, delle
purghe, delle deportazioni, del terrore sotto Stalin? Quanto sanno i giovani di
tutto questo? O forse per loro è storia passata?
I giovani sono diversi. Per
chi è idealista il passato è una bella favola, e poi i giovani hanno tutti i
mezzi meccanici per cercare materiale informativo su internet. Però nel paese c’è
grande interesse per il passato sovietico, è sufficiente osservare come tutti i
grandi premi di letteratura sono stati attribuiti di recente a scrittori di
storie sovietiche. “Zuleika apre gli occhi” ha vinto il Big Book Literary Award
(il massimo premio russo) nel 2015 e
nel 2016 tutti e tre i libri che hanno vinto raccontano lo stesso periodo dello
stalinismo.
recensione e intervista saranno pubblicate su www.stradanove.net
per contattarmi: picconem@yahoo.com
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