Casa Nostra. Qui Italia
cento sfumature di giallo
FRESCO DI LETTURA
Vladimiro Bottone,
“Il giardino degli inglesi”
Ed. Neri Pozza, pagg. 400, Euro 15,30
Napoli 1842. Un giovane inglese, Peter
Darshwood, muore dopo essere stato aggredito di notte in strada. La colpa viene
addossata a due poveracci che sono trovati in possesso di sterline d’oro e
dell’orologio appartenuto a Peter. Il commissario Gioacchino Fiorilli non crede
affatto che siano questi i colpevoli. Perché la vicenda non incomincia con
Peter bensì con sua sorella Emma, insegnante di canto nell’orfanotrofio che
viene chiamato ‘il Serraglio’. Emma era stata uccisa- anche nel suo caso
Gioacchino Fiorilli era certo, pur non avendo solide prove, che il responsabile
dell’omicidio non fosse il corteggiatore respinto ma Domenico De Consoli il
quale si è dimesso dall’impiego di medico del Serraglio proprio per sviare
l’attenzione da sé e da possibili sospetti di indebito interessamento verso i
bambini. E al povero Peter era già successo altro, poco dopo il suo arrivo a
Napoli: una ferita da arma da fuoco. Era stato curato in gran segreto da un
medico ebreo austriaco. Perché tutto questo mistero? perché forse si trattava
di un duello, proibito dalla legge? E chi era l’altro duellante? Per chi o per
che cosa si erano battuti?
“Il giardino degli inglesi” di Vladimiro Bottone è un affascinante
romanzo storico che mescola i generi con abilità e sapienza- sullo sfondo
perfettamente ricostruito della Napoli di metà ‘800 sotto il governo dei
Borboni, rivive la colonia inglese in tinte noir (è proprio del noir non
offrire una soluzione al diffondersi del Male), con il mystery dell’indagine
poliziesca, un poco del gusto del feuilleton nelle intrecciate storie d’amore e
di tradimenti (c’è perfino più di un accenno ad un amore incestuoso) e un crudo
realismo nelle descrizioni della vita di strada. Leggiamo il romanzo di Bottone
e ci caliamo in un altro tempo e pensiamo che quello di Vladimiro Bottone è uno
stile perfetto per questa storia e
per questo libro. Ci vengono in mente
i romanzi di Dickens, la Londra ottocentesca di Dickens non è diversa da questa
Napoli di strade maleodoranti e case fatiscenti, di povera gente dai denti
marci, di bambini straccioni pronti a vendersi per un pezzo di pane, la bimba
che vende i fiori che Peter porta sulla tomba della sorella è uguale alle
piccole fioraie londinesi o alla piccola fiammiferaia di Andersen che muore
nella neve. E, come in uno dei grandi romanzi dell’800, il libro è ricco di personaggi
e di storie che ci vengono raccontate in uno stile sontuoso, con una finezza e
una perfezione di linguaggio a cui avevamo perso l’abitudine, e la nostra mente
si riempie di immagini di una Napoli brulicante in cui serpeggia il Male anche
dove non ce lo aspettiamo.
Se Peter, Emma e la piccola Palmina sono le vittime, due sono le figure
che giganteggiano a confronto- il commissario Gioacchino e il medico De
Consoli. L’uomo probo e l’uomo malvagio. L’uomo così integro e corretto da non
avere abbastanza immaginazione per capire il Male che è nell’altro, un essere
abbietto e viscido, spergiuro che non rispetta il giuramento di Ippocrate, un
lussurioso che cerca soddisfazione carnale con chiunque colpisca i suoi sensi,
maschietti e bambine, mogli degli altri, fanciulle oneste. De Consoli ha anche
quell’intelligenza malvagia capace di escogitare i mezzi per sottrarsi alle
accuse, per trascinare gli accusatori con sé nel baratro. D’altra parte, tutto
il corpo medico dell’Ospedale degli Innocenti non è da meno per cinismo,
mancanza di correttezza, ambizione personale, indifferenza davanti alle
sofferenze. Con tutte le nostre forze vogliamo pensare che questo è il secolo
XIX, che ora siamo nel XXI, che tutto sia cambiato. Sappiamo che non è proprio
così.
Il
finale del libro ci lascia in un’ansia sospesa. Forse lo scrittore ci regalerà
un seguito. Di certo alcuni di questi personaggi erano i protagonisti di
“Vicarìa”, pubblicato da Rizzoli nel 2015.
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