Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
Diaspora ebraica
romanzo di formazione
il libro ritrovato
André Aciman, “Ultima notte ad Alessandria”
Ed. Guanda, trad. Valeria Bastia,
pagg. 335, Euro 17,00
Titolo originale: Out of Egypt
La mattina appena svegli, la
prima cosa che si faceva a Mandara era correre alla finestra a vedere com’era
il mare. A volte si sentivano le onde in lontananza perfino stando a letto e
dal rumore si capiva già che tempo faceva. Oppure dalle grida dei bambini in
spiaggia si intuiva che stavano giocando tra i cavalloni e che quindi c’era il
mare mosso.
Ci sono dei luoghi che hanno un nome
straordinariamente evocatore, capace di per sé di suscitare immagini di grande
fascino nella mente di chi lo sente o lo legge. Alessandria d’Egitto- e
pensiamo ad una delle sette meraviglie del mondo, il faro che si ergeva
sull’isola di Pharos all’imboccatura del porto, alto 120 metri e capace di
illuminare fino a 46
chilometri di distanza con il suo fascio di luce, al
deserto e all’incanto della laguna di Mareotide resa immortale da Lawrence
Durrell, alla biblioteca famosa, andata distrutta forse nel 270.
“Ultima notte ad Alessandria”, il
libro di André Aciman che è nello stesso tempo libro di memorie di famiglia e
straordinario romanzo di formazione dello scrittore stesso, è colmo della magia
di questa città in cui i suoi bisnonni trovarono rifugio scappando dalla
Turchia agli inizi del secolo e dove lui è cresciuto fino al 1965, quando il
presidente Nasser confiscò i beni degli ebrei e li espulse dal paese.
I sei capitoli del libro scandiscono il
tempo, diversificandolo con dei titoli che sottolineano- in maniera allusiva-
chi sarà il personaggio principale delle pagine che seguono, o quali saranno
gli anni dei ricordi. Così il primo, “Soldato, venditore, imbroglione, spia”,
vede- come assoluto e trionfante protagonista- lo zio Vili, figura
indimenticabile, proprio perché fu veramente un soldato (aveva combattuto nella
prima guerra mondiale nell’esercito italiano), era stato un abile venditore
(diceva, parlando degli ebrei, “Alla fine non siamo tutti venditori ambulanti?”-
lui aveva iniziato vendendo fez per le strade di Vienna e aveva finito come
banditore d’asta delle proprietà di re Faruk), ma anche un imbroglione e una
spia per gli inglesi. Lo zio Vili, con le sue imprese, le sue battute, i suoi
modi di dire che diventano parte essenziale del lessico famigliare (ad iniziare
da quel “siamo o non siamo?” che diventa una sorta di leit-motiv e già vuol
dire tutto), il suo atteggiamento battagliero da eterno vincente, potrebbe
riempire di sé tutto il libro, e sembra quasi che a malincuore André Aciman lo
spinga via dal palcoscenico, per lasciar venire alla ribalta gli altri ‘attori’
di questa commedia umana.
Perché la sua è una famiglia numerosa: zio Vili ha
altri quattro fratelli e quattro sorelle, e poi ci sono i cognati e le cognate,
c’è anche una zia Flora che arriva in fuga dalla Germania ed è la sorella dello
zio Albert. Che è il nonno dello scrittore. Perché poi il quadro si restringe
e, intorno allo scrittore bambino, ci sono soprattutto le due nonne, il padre e
la madre. Il tempo scorre, nella memoria avanza a balzi, a volte fa qualche
passo indietro e i ricordi si legano alle case, ai vetri oscurati di carta blu
durante i giorni della guerra del 1956, quando
E’ sufficiente avere un minimo di cultura
ebraica perché ci venga un nodo in gola nel leggere il titolo del sesto
capitolo, “L’ultimo seder”, perché a
questo punto sappiamo già che cosa leggeremo: il seder commemora la partenza degli antichi ebrei dall’Egitto e
questo ultimo seder della famiglia
precede la loro partenza forzata da Alessandria. Come un’antica maledizione,
quella dell’ebreo errante, eternamente senza patria, condannato a ricominciare
da capo in luoghi sempre nuovi, a scegliere ciò da cui non può separarsi e ciò
che può invece abbandonare. Forse in una valigia si caccia dentro anche il
cuore e la mente, i sentimenti e i ricordi, pigiando forte il coperchio perché
chiuda. Perché si vuole riaprirla e ritrovarli, quando si sarà lontani. “Sentivo che a rendere la partenza così
violentemente dolorosa era la consapevolezza che non ci sarebbe più stata
un’altra sera come questa…che non avrei più avvertito l’improvvisa e
sbalorditiva bellezza di quel momento quando, anche solo per un istante, mi ero
scoperto a struggermi per una città che non mi ero mai reso conto di amare.”
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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