Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
romanzo "romanzo"
il libro ritrovato
Zadie Smith, “Della bellezza”
Ed. Mondadori, trad. Bernardo
Draghi, pagg. 514, Euro 19,00
Howard Belsey, inglese, studioso
di Rembrandt, vive in una cittadina americana insieme alla moglie,
l’afroamericana Kiki, e tre figli. Quando un altro accademico suo rivale, il
caraibico Monty Kipps, arriva dall’Inghilterra per insegnare nella sua stessa
università, scoppia tra di loro un conflitto sul livello degli ideali e quello
della professione, coinvolgendo le famiglie in una crisi di identità personale
e di armonia di coppia. Eppure, quello che emerge dai contrasti è il valore
della bellezza della vita umana.
INTERVISTA A ZADIE SMITH, autrice di “Della bellezza”
L’omaggio a E.M.Forster è palese fin
dalle prime righe del romanzo “Della bellezza” di Zadie Smith e i lettori che
conoscono “Casa Howard” saranno deliziati di seguirne le tracce, riconoscendone
i segni pur modificati e arricchiti per inserirli nel nuovo contesto del secolo
XXI. La lettera di Helen Schlegel alla sorella con cui iniziava il libro di Forster è qui
sostituita da una e-mail di Jerome Belsey a suo padre; una Helen estatica
annunciava il fidanzamento con Paul Wilcox, un Jerome esultante annuncia il suo
con Victoria Kipps; là un telegramma e qui un messaggio di posta elettronica che smentiscono
quanto detto non arrivano a tempo a fermare l’intervento di un parente che si
precipita sul posto. “Non siamo più nel 1910!”, dice Kiki Belsey, e infatti
l’opposizione tra il mondo “dei telegrammi e della rabbia” dei Wilcox e quello
dell’intelletto delle sorelle Schlegel è sostituito nel romanzo della Smith dal
contrasto tra i liberali Belsey e i conservatori reazionari Kipps; le classi
sociali nettamente distinte nel romanzo di Forster sono scomparse nella società
multietnica dalle molte possibilità che Zadie Smith ritrae così abilmente, come
già nel primo romanzo che l’ha resa famosa, “Denti bianchi”.
E’ come se Leonard
Bast, il misero impiegato con ambizioni culturali di “Casa Howard”, ce l’avesse
fatta ad elevarsi, perché l’inglese bianco Howard Belsey, figlio di un
macellaio, è diventato un accademico e sua moglie Kiki, la cui trisavola era
una schiava, è direttrice d’ospedale, nonché proprietaria della bella casa in
cui abitano, lasciata in eredità alla nonna da un dottore bianco (forse un tentativo
di mettere a tacere i sensi di colpa?). Ma c’è sempre un Leonard Bast in ogni
società e in “Della bellezza” il suo posto viene occupato da un giovane di
colore, Carl, poeta e musicista di strada che i Belsey incontrano ad un
concerto- e qui Zadie Smith prosegue nel suo gioco con il testo di Forster: i
risvolti comici del furto dell’ombrello di Leonard da parte di Helen Schlegel si
ripetono in quello del lettore di cd preso per sbaglio da Zora Belsey.
I Belsey contro i Kipps, dunque, in tutti
i campi, ad iniziare da quello dell’arte: il pittore Rembrandt, soggetto di
studio sia di Howard Belsey sia di Monty Kipps, viene glorificato da Monty e visto
da Howard come un semplice artigiano per niente trasgressivo o originale; in
contrasto con Howard, Monty Kipps è strettamente religioso e sostiene che
l’uguaglianza è un mito, che la società multiculturale è un sogno, che le
minoranze esigono una parità di diritti che non si sono meritata.
Per non dire
che lui- il nero che “è arrivato”- continua a parlare con disprezzo dell’”uomo
di colore”, come se si compiacesse a guardare gli altri dall’alto del suo
successo, escludendoli. Ed è a questo punto, al di là dei vari episodi in
comune che hanno il romanzo inglese di un secolo fa e quello della giovane Zadie
Smith, che ci interroghiamo sulla possibilità dell’utopistico desiderio
espresso nel motto introduttivo di “Casa Howard” che è poi anche la chiave di
lettura di tutti i romanzi di Forster: “Only
connect”. Fino a che punto è possibile connettere due mondi, due diverse
concezioni di essere, due interpretazioni del proprio posto nell’ordine delle
cose? Il quadro che rappresenta
“Della bellezza” è il suo terzo romanzo: come ci si sente ad essere
così giovane ed avere già scritto tre romanzi?
A volte mi sento soddisfatta e a volte mi
sembra di avere fatto poco tra i 20 e i 30 anni. Anche scrivendo solo 500
parole al giorno, avrei potuto scrivere chissà quanto: sembra molto lavoro, ma
non lo è. A volte mi pare che 10 anni della mia vita siano andati in fumo. Ho
scritto tre romanzi ma, nella vita reale, è come se io non avessi fatto niente.
Quando scrivo non mi occupo d’altro, tutto resta in attesa, sembra proprio che
non faccia nulla e può essere irritante per chi mi sta vicino. Passo il tempo a
rimuginare: forse sarebbe stato meglio avere una vera e propria occupazione per
passare il tempo.
“Della bellezza” è un omaggio a Forster e, in particolare, a “Casa
Howard”: che cosa la attrae in Forster? “Casa Howard” è il romanzo che
preferisce di Forster o l’ha scelto perché le offriva il materiale migliore per
sviluppare il suo romanzo?
No, paradossalmente “Casa Howard” non è il
mio libro preferito di Forster, quello che preferisco è “Maurice”. Mi è
difficile rispondere, anche perché, da quando è stato pubblicato il romanzo, la
mia passione per Forster è andata scemando, credo che non lo leggerò mai più.
Originariamente sono stata attratta dall’empatia di Forster, dalla sua volontà
di esprimere simpatia verso gli altri. Forster non è un esteta come Henry
James, non è un moralista come Jane Austen, è un inglese della periferia, è un
uomo di compagnia, è socievole. Mi piace Virginia Woolf ma- supponiamo che io
potessi incontrare Virginia Woolf e le chiedessi di prendere una tazza di tè
insieme: lei mi direbbe certamente di no, Forster direbbe, “Sì, con piacere”.
Forster era una persona molto generosa che amava stare con gli altri, sentiva
che la vita vera è quella intima: avrebbe tradito il paese per un amico.
Questa volta solo una piccola parte del romanzo si svolge in
Inghilterra e la maggior parte negli Stati Uniti, come mai?
L’ho fatto anche per mettermi alla prova.
In parte c’è stata, alla base, la mia paura di diventare troppo inglese, il
prossimo libro, però, sarà ambientato di nuovo a Londra. Mi piaceva l’idea di
variare, di descrivere un altro paesaggio, una diversa maniera di stare nel
mondo. E poi l’America è, oltre all’Italia, il paese straniero che conosco di
più e che amo.
Quando è stata per la prima
volta in Italia?
L’Italia è stata il primo paese straniero
che ho visitato, quando avevo 14 anni e sono stata invitata dalla famiglia di
un’amica ad andare con loro nella casa che avevano affittato a Tellaro. E a
novembre verrò a vivere a Roma per un anno, perché voglio imparare l’italiano.
Le mie letture mi avevano dato un’idea romantica dell’Italia e ho trovato che
la realtà coincidesse appieno con quell’idea. Per un inglese è un sollievo
gustare la gioia cattolica del piacere. Perché qui la gente si diverte e poi
chiede perdono, non si macera nella colpa. Bisogna aver vissuto nella cupezza
dell’atmosfera protestante per capire che cosa voglio dire.
Uno dei cambiamenti più interessanti che ha fatto, rispetto al romanzo
di Forster, è quello di opporre idee reazionarie al liberalismo, al posto dei
due mondi degli affari e delle idee: è il divario che avverte maggiormente nel
nostro mondo?
La realtà è che ad un liberale sembra
sempre che gli altri siano tutti reazionari. Monty Kipps è un perverso più
ancora che essere un reazionario. Mi piacciono i tipi perversi, trovo che il
conformismo ideologico sia noioso. Mi piace la provocazione, mi piace chi è
volontariamente provocatorio e Monty è così, con le sue uscite paradossali ed
estreme. I liberali trovano impossibile che i reazionari siano sinceri e,
invece, a me pare che ci siano degli aspetti del pensiero conservatore che sono
sinceri e fanno parte degli istinti umani e in quanto tali vanno rispettati.
Uno dei punti più discussi nel romanzo è il diritto allo studio a cui
si oppone Monty Kipps. Come pensa si possa gestire questa esigenza messa in
luce di recente dal numero di volontari per la guerra in Iraq che non avevano
altre alternative?
Il diritto allo studio in un’epoca in cui
praticamente moriremo tutti sul posto di lavoro è una priorità: quei tre anni
dedicati allo studio sono una necessità per tutti, rappresentano una libertà di
cui tutti dovrebbero godere. Ed è demoralizzante vedere che non sia la
meritocrazia il criterio di ammissione alle università. In America c’è questa
legge dell’azione positiva, ma è demoralizzante dovere l’accesso all’università
al fatto di essere nero. Penso che ci dovrebbe essere una procedura selettiva
caso per caso. Quando feci domanda a Cambridge, era chiaro che la mia
preparazione non era buona quanto quella degli altri e che i miei voti non
sarebbero stati uguali ai loro, ma i miei esaminatori hanno fatto una scommessa
su di me. Non si possono basare le ammissioni su una legge: una legge è troppo
rigida, non può andare bene per un procedimento selettivo del genere.
Il romanzo è anche l’anatomia di una coppia: è essenziale la fedeltà
nel matrimonio?
Sono sposata da troppo poco tempo per
sapere come reagirei in caso di tradimento. Chiunque sa che ci sono diverse
maniere per non essere fedeli. Il mio impegno spirituale e mentale è una cosa
molto profonda, non tradirei mai, come non tradirei un amico. Nella coppia
Kiki-Howard, Kiki sopravvivrà sempre, il problema è quale vita avrà Howard, se
imparerà qualcosa. Kiki resta nel matrimonio per amore di lui, perché le donne
sono emozionalmente più indipendenti.
I Kipps contro i Belsey: i Belsey ci piacciono di più, anche se Howard
è il meno amabile di loro e Levi il più simpatico. Levi assomiglia a qualcuno
che conosce?
Il personaggio di Levi è basato sul mio
fratello minore. Da bambina ero solita pensare che la mia vita sarebbe stata
più felice, che avrei trovato le risposte a tutto, che avrei capito tutto,
quando avessi avuto più cultura, quando fossi stata più istruita. E poi ti
imbatti in qualcuno come Levi che non ha alcuna idea della cultura, non gliene
importa niente ed è felice lo stesso. Mi interessa il mondo in cui si muove mio
fratello, così limitato e in cui lui si trova così bene. Faccio un esempio,
forse ne parlo anche nel libro. Stavamo aspettando insieme un treno sul
marciapiede della stazione e io leggevo un libro su Enrico VIII. Mio fratello
mi ha chiesto perché lo leggessi e gli ho risposto che mi interessava la
storia. Di rimando lui mi ha chiesto, “Perché?”. Ecco, mio fratello è tutto lì,
eppure anche in questa vita limitata può trovare felicità e soddisfazione più
di altri.
C’è una scena in cui Carlene Kipps dice che quello che importa nella
vita è per chi si è vissuto- e lei ha vissuto per l’amore. Non le è mai
importato del mondo ma le è importato della sua famiglia. Kiki Belsey, così
generosa in tutto, è un passo avanti a Carlene? Perché Kiki sembra essersi
interessata sia della sua famiglia sia del mondo.
Sì, penso di sì. Mi stupisce sempre
osservare come ci siano donne con una grande famiglia che si dedicano con amore
ai figli derivandone grande felicità e ce ne siano altre che invece si dedicano
alla politica, ad esempio, e tutto il resto è secondario. Kiki è più completa
di Carlene e forse, poi, Carlene appartiene ad un’altra generazione, è
sottomessa all’idea della maternità. Kiki sembra avere una capacità più ampia
di affetti e di interessi.
Il romanzo termina con la descrizione di un ritratto della moglie di Rembrandt
dipinto dal pittore: è questo che significa il romanzo “Della bellezza”? che la
bellezza dell’arte coincide con quella dell’amore?
La mia vita è molto esplicita riguardo a
questo: nella mia vita c’è l’arte e il mio rapporto personale con mio marito.
Per molti scrittori l’arte ha preso il primo posto, probabilmente a vantaggio dell’arte, ma per me l’amore è la
cosa più importante nella vita. Credo in quello, nell’amore e
nell’apprezzamento del mondo. Ma rinuncerei a tutto per amore. Spero di non
doverlo fare. La bellezza è la bellezza dell’amore, prima di tutto.
la recensione e l'intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos
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