domenica 5 febbraio 2017

Furukawa Hideo, “Belka” ed. 2013

                                                        Voci da mondi diversi. Asia
          la Storia nel romanzo   
          il libro ritrovato

Furukawa Hideo, “Belka”
Ed. Sellerio, trad. Gianluca Coci, pagg. 442, Euro 16,00
Titolo originale: Beruka, hoenai no ka?

     Attacca!
    E’ la voce del suo istinto. Tutto ciò che ha appreso all’epoca in cui era un cane soldato riemerge prepotentemente dal fondo della sua memoria. Sì, adesso è tutto chiaro!, esclama dentro di sé, assumendo un’aria concitata. Adesso so chi sono, so qual era la missione che avrebbero dovuto affidarmi su quella maledetta isola!...Kita abbaia con tutto il fiato che ha in gola, scosso da un tremito violento. La mia missione! La porterò a termine qui, in questo preciso momento! Perché io sono vivo qui, in questo preciso istante!

        Stupefacente. L’episodio iniziale del romanzo “Belka” dello scrittore giapponese Furukawa Hideo è stupefacente. Che il cane sia l’amico fedele dell’uomo è risaputo- è una frase trita per indicare la sua precipua qualità. Che sia un animale intelligente, pure. Così come che possa essere facilmente addestrato. Ma il comportamento dei cani sulle isole Aleutine nel 1943, nel pieno svolgersi della seconda guerra mondiale, è più umano che canino. L’anno precedente due di queste isole nel Pacifico del nord furono occupate dalle truppe giapponesi. Quando queste dovettero ritirarsi in fretta e furia, quattro cani della loro unità cinofila furono abbandonati: tre pastori tedeschi e un cane di razza hokkaidō. Quattro cani soldato di cui uno, Explosion, non apparteneva alle forze giapponesi, bensì a quelle americane- era un prigioniero di guerra, un cane che già si trovava su una delle isole quando i giapponesi le avevano conquistate. Explosion corse festoso verso gli americani appena sbarcati per riappropriarsi dell’isola. Aveva riconosciuto i vecchi padroni. Due degli altri cani la seguirono. Quello più solitario, invece, Katsu, rimase nacosto nella sua tana, nella postazione della contraerea dove era stato assegnato. Attese che si avvicinasse il primo soldato nemico- perché sapeva bene che i nuovi arrivati erano i nemici che era suo dovere combattere- e gli balzò addosso azzannandolo al collo. Poi si mise a correre verso il campo minato guidando gli inseguitori dietro di sé. Saltò in aria lui. Saltarono in aria gli americani. Missione compiuta. Un cane kamikaze.

        Per chi non lo sapesse, quarantamila cani soldato furono addestrati durante la seconda guerra mondiale (date anche un’occhiata al notevole libro di Giovanni Todaro, “I cani in guerra. Da Tutankhamon a Bin Laden”, edizione Oasi Alberto Perdisa). Nel suo libro di storia canina Furukawa Hideo segue le vicende di solo quattro di questi splendidi esemplari tracciandone la genealogia prima di incominciare il racconto- è il poter tracciare i propri antenati che attesta la purezza del sangue, per gli uomini così come per gli animali, già lo abbiamo visto in “Pura razza bianca”, il romanzo di Frank Westerman sui cavalli lipizzani. E, come nel libro di Westerman, pure in quello di Furukawa leggiamo una storia del secolo passato osservata da un’angolatura del tutto singolare, quella dei cani questa volta- dalla seconda guerra mondiale alla guerra fredda, ai conflitti in Corea e Vietnam, alla guerra in Afghanistan infine.
Non solo. Perché ci sono guerre e guerre. Guerre per territori e confini geografici, guerre combattute in nome di ideologie e guerre di bassa lega, per così dire, guerre in cui si scontrano le mafie e c’è un gran giro di soldi. Furukawa Hideo alterna i capitoli, prima ci porta in una segretissima ‘città della morte’ in Siberia dove una strana ragazzina giapponese, presa in ostaggio perché figlia di un boss mafioso, è portata ad identificarsi con un cane fino a cambiarsi il nome in Strelka, come uno dei due cani che ritornarono indietro dallo spazio, e un vecchio, conosciuto come ‘l’Arcivescovo’, progetta trame di grandiose rivoluzioni guidate dai cani, e poi inizia altri capitoli di storia ‘canina’ con la stessa domanda ripetuta, quasi un campanello ad indicare il cambiamento di traccia, “Cani, miei cari cani, dove siete finiti?”.
Sono finiti in Alaska, a trainare slitte, a fare gare di corsa, oppure in uno stato molto più a Sud, dove il clima non è loro confacente, a fare da guardia del corpo, a sorvegliare confini, a partecipare ad una utopistica navigazione senza strumenti. Si riproducono, vengono venduti, i loro discendenti si rincontrano in maniera casuale, i cuccioli ereditano, o non ereditano, i geni degli augusti genitori, da cani soldato addestrati per guerre ‘gloriose’  passano ad essere cani antidroga dal fiuto straordinario, mentre la cagnetta spaziale Laika, seguita da Belka e Strelka, diventa un simbolo di audacia, pari a quella del primo uomo che varcò le colonne d’Ercole.

      Tra realtà e finzione, poesia e ironia, ricco di rocambolesche avventure e di microstorie piene di inventiva, questo è un bellissimo libro da leggere, la dimostrazione che il romanzo non è affatto morto, per nostra fortuna (tutti cani del romanzo abbaiano il loro assenso).

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it




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