Voci da mondi diversi. Francia
il libro ritrovato
Sylvain Tesson, “Nelle foreste siberiane”
Ed.
Sellerio, trad. Roberta Ferrara, pagg. 251, Euro 16,00
Titolo originale: Dans les forêts de Sibérie
Oggi ho letto a lungo, ho pattinato tre ore in una luce viennese
ascoltando la Pastorale, ho pescato un omul’, ho raccolto mezzo
litro di esca, ho guardato il lago dalla finestra attraverso il fumo di un té
nero, ho dormito sotto i raggi del sole delle quattro, ho segato un tronco di
tre metri e preparato una provvista di legna bastante per due giorni, ho preparato
una buona kaša, una specie di porridge, l’ho mangiata
e ho pensato che paradiso era nella somma di tutte queste cose.
Mi sembra un nome perfettamente
adeguato, Sylvain, per qualcuno che fa una scelta così insolita e- diciamolo-
coraggiosa. Sylvain Tesson, giornalista e viaggiatore, aveva giurato a se
stesso che, prima dei quarant’anni, sarebbe andato a vivere da solo per qualche
mese in una capanna. “Il freddo, il silenzio e la solitudine sono condizioni
che un giorno si pagheranno a peso d’oro”, dice Tesson all’inizio del libro che
racconta la sua esperienza, “Nelle foreste siberiane”. Perché Sylvain Tesson non ha scelto di
passare sei mesi da solo in una natura ‘amica’ come potrebbero essere i boschi
in cui si è isolato lo scrittore americano Henry Thoreau, autore di “Walden”. La
capanna dove vivrà Sylvain si trova su un promontorio vicino al lago Bajkal, in
Siberia: la vegetazione della taigà, pietra, ghiaccio, cielo immenso,
temperature che scendono ai 40 sotto zero, un inverno che non finisce mai.
Il libro
di Sylvain Tesson è il suo diario, da febbraio a luglio. Non si mente in un
diario, quando la lettura è riservata solo a chi lo scrive. Di certo Tesson è
sincero fino ai limiti del possibile sapendo che, invece, saranno in molti a
leggere queste pagine. L’inizio dell’avventura ha un che di esaltante:
preparare l’attrezzatura, fare rifornimento di cibo (18 bottiglie di salsa
Heinz, non si dice il numero di quelle di vodka) e di tutto quello che gli sarà
indispensabile. Curioso il dettaglio patriottico della bandiera francese
per il 14 di luglio, interessante la
scelta dei libri che riempiono una cassa- “chi non ha fiducia nella ricchezza
della propria vita interiore deve portarsi dietro dei buoni autori: potrà
sempre riempire quel vuoto”. L’elenco
è dettagliato e stuzzicherà i lettori appassionati: parecchi testi di Ernst Jünger ma anche Ellroy e
Connelly, Defoe (naturalmente) e Shakespeare ma anche Casanova e Nietzsche,
Thoreau (naturalmente) ma anche Hemingway e Camus. Ci sono autori che non
conosciamo e altri per cui condividiamo l’amore. Anche dare una rinfrescata
all’interno della capanna, mettere a nudo il pavimento di legno e installare
una finestra con i doppi vetri, è eccitante. Quando tutto è sistemato, i suoi
accompagnatori se ne vanno e Sylvain resta solo. Come passerà il tempo? Prima
di tutto è la dimensione stessa di tempo che invita alla riflessione- come sia
diversa l’estensione del tempo in una città e in mezzo alla natura. L’isolamento invita alla
riflessione, a centellinare i piccoli piaceri che possono anche essere soltanto
il rumore del vento, lo scricchiolio del ghiaccio, un bagliore nel cielo. O la
solitudine.
Quando, nell’arco di quei
sei mesi, arrivano visite per Sylvain, la sua reazione è ambigua e spesso
dipende da ‘chi’ sia il visitatore. I notabili di Irkutsk che fanno il giro del
lago in 8 giorni su rumorose 4x4 sono aborriti rompiscatole (“ciò da cui
fuggivo- rumore, bruttezza, cameratismo
testosteronico- si sta abbattendo sul mio rifugio”), mentre, per quanto poco lo
scrittore abbia in comune con loro, i russi che vivono nelle vicinanze con un
qualche incarico impiegatizio sono benvenuti perché ci si può anche stancare di
parlare solo a se stessi. E tuttavia è con sollievo che Sylvain li vede andare
via, dopo essersi ubriacato con loro. Perché la vodka si beve come acqua- vuoi
perché scalda, vuoi perché non c’è nulla di meglio da fare, vuoi perché si deve
dimenticare che la tua ragazza non sopporta più la lontananza e ti ha mollato o
perché, senza osarlo confessare, l’esperimento ogni tanto pesa.
Sylvain Tesson sulle rive del lago Bajkal
non è Robinson Crusoe sull’isola deserta. Al di là del fatto che non ha scelto
di vivere da solo per 28 anni, Robinson cerca di riprodurre il modello di vita
della società che si è lasciato alle spalle. Quella di Sylvain, invece, è una
rivolta. Contro il consumismo, la tecnologia, l’inquinamento, la
superficialità, la frettolosità. Anche
se poi, quando è primavera inoltrata e il tempo sta per scadere, Sylvain si
domanda: “Chi sono io? Un vile che ha paura del mondo, recluso in una capanna
in fondo a un bosco. Un codardo che si ubriaca in silenzio per non dover
assistere allo spettacolo del suo tempo, per non trovarsi faccia a faccia con
la propria coscienza mentre passeggia sulla spiaggia”.
Ogni
lettore può interpretare a suo piacere queste parole.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
Finito di leggere ieri. Anche io ho fatto un paragone, tra l'inglese o l'americano e il francese lasciati su un isola deserta (non importa dove) il primo costruisce cose, il secondo spara ad ogni cosa e scopre il petrolio... il terzo si gode i piaceri della vita: fumo, alcool, buoni libri... chi scegliere? :) ottimo il tuo commento. ciao
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