giovedì 6 ottobre 2016

Alejandro Palomas, “Un figlio” ed. 2016

                                   Voci da mondi diversi. Penisola iberica
          FRESCO DI LETTURA


Alejandro Palomas, “Un figlio”
Ed. Neri Pozza, trad. A. Arena, pagg. 192, Euro 16,00

      Guillermo ha nove anni. Frequenta la quarta elementare. E’ un bambino chiuso, solitario, la sua unica amica a scuola è Nazia, la piccola pakistana i cui genitori gestiscono un piccolo supermercato di alimentari. Perché a Guille non piacciono i giochi che fanno gli altri bambini. Quando la maestra chiede che cosa vorrebbero essere da grandi, le risposte sono le solite dei bambini di quell’età- calciatore del Barcellona o del Real Madrid, o un personaggio famoso nel mondo dello spettacolo. Guille vorrebbe essere Mary Poppins. La maestra si preoccupa. Vorrà parlare con Manuel, il padre di Guille che fa il meccanico di aerei e gli chiederà di far fare a Guille dei colloqui con ‘un’orientatrice’, una psicologa per dirlo con un’altra parola. Ed ecco che siamo irretiti nella storia di Guille, che è la storia di una perdita, di un’assenza.

     Parla la maestra, parla Manuel, soprattutto parlano la psicologa e Guillermo- la voce di Guillermo si sente anche attraverso i disegni che fa e che dicono quello che lui non dice con le parole. Manuel non vuole sentire parlare di stupidaggini, che cosa è questa storia di Mary Poppins, non gli va l’idea che suo figlio canti e balli durante la recita, anche se Guille farebbe la parte dello spazzacamino e Nazia quella di Mary Poppins, inorridisce al sentire che al figlio piace Billy Elliot, il bambino del film che seguiva i corsi di danza. Guille deve giocare a rugby, così per lo meno gli passeranno queste strane idee. La psicologa fa domande con cautela- dov’è la mamma di Guille? E’ andata a lavorare a Dubai per sei mesi, fa l’accompagnatrice di volo, Guille riceve una sua lettera ogni giovedì, il papà le parla ogni sera su Skype. Ma i disegni di Guille raccontano un’altra storia.
    E perché la fissazione con Mary Poppins, poi? Ma perché basta che Mary Poppins dica quella parola magica lunghissima e tutto diventa possibile- la mamma tornerà e papà non piangerà più davanti al computer, e Nazia non dovrà più tornare in Pakistan per sposare il cugino vecchio, ricco e grasso.

    Nel libro di Alejandro Palomas non ci sono bambini saputelli che dicono cose e fanno ragionamenti da piccoli geni. Anzi, ci sembra che forse Guillermo voglia restare nel mondo magico di un bambino più piccolo dei suoi nove anni perché così può credere che sia possibile diventare grandi ed essere Mary Poppins e fare di tutto con una sola lunghissima parola. E poi, dall’altra parte, una parte di sé nascosta dentro le scatole che contengono le cose della mamma e che fa capolino nei disegni, c’è un Guille più grande che è capace di affrontare il dolore di una scomparsa- “Quando le persone scompaiono, dove vanno?”, chiede alla psicologa Maria. “E’ come quando muoiono o è diverso?”, e aggiunge, “Mia madre è a Dubai perché…perché è scomparsa”. Forse però è andata da qualche altra parte, come Mary Poppins, e poi ritornerà. Dall’altra parte c’è un Guille che non va in bagno a fare pipì per non passare davanti alla stanza dove suo padre piange- e Guillermo sente di dover proteggere suo padre dal dolore.
    In questo mondo visto da un bambino, i grandi hanno idee fisse e sono irragionevoli- i maschietti come Guille non devono raccogliere fiori e porgerli al padre, non devono indossare vestiti da donna per recitare, le bambine come Nazia poi, di un’altra cultura, non possono mettersi i pantaloncini, neppure per una recita. E’ una violenza neppure tanto celata nei confronti dei bambini, perché si adeguino ai modelli prefissati- rugby per un maschio, il matrimonio per una bambina.
     Sembra una favola, il breve romanzo di Alejandro Palomas che ha scelto il tono leggero per parlare del dolore della perdita di una persona cara. E’ un leggero che inganna, è un po’ come l’iceberg a cui la maestra paragona Guillermo- c’è poco che si vede e tanto che è nascosto, c’è poco che viene detto e tanto che è taciuto, che tocca al lettore scorgere tra le righe.



     

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