Voci da mondi diversi. Penisola iberica
FRESCO DI LETTURA
Alejandro Palomas,
“Un figlio”
Ed. Neri Pozza, trad. A. Arena, pagg. 192, Euro 16,00
Guillermo
ha nove anni. Frequenta la quarta elementare. E’ un bambino chiuso,
solitario, la sua unica amica a scuola è Nazia, la piccola pakistana i cui
genitori gestiscono un piccolo supermercato di alimentari. Perché a Guille non
piacciono i giochi che fanno gli altri bambini. Quando la maestra chiede che
cosa vorrebbero essere da grandi, le risposte sono le solite dei bambini di
quell’età- calciatore del Barcellona o del Real Madrid, o un personaggio famoso
nel mondo dello spettacolo. Guille
vorrebbe essere Mary Poppins. La maestra si preoccupa. Vorrà parlare con
Manuel, il padre di Guille che fa il meccanico di aerei e gli chiederà di far
fare a Guille dei colloqui con ‘un’orientatrice’, una psicologa per dirlo con
un’altra parola. Ed ecco che siamo irretiti nella storia di Guille, che è la storia di una perdita, di un’assenza.
Parla la maestra, parla Manuel,
soprattutto parlano la psicologa e Guillermo- la voce di Guillermo si sente
anche attraverso i disegni che fa e
che dicono quello che lui non dice con le parole. Manuel non vuole sentire
parlare di stupidaggini, che cosa è questa storia di Mary Poppins, non gli va
l’idea che suo figlio canti e balli durante la recita, anche se Guille farebbe
la parte dello spazzacamino e Nazia quella di Mary Poppins, inorridisce al
sentire che al figlio piace Billy Elliot, il bambino del film che seguiva i
corsi di danza. Guille deve giocare a
rugby, così per lo meno gli passeranno queste strane idee. La psicologa fa
domande con cautela- dov’è la mamma di
Guille? E’ andata a lavorare a Dubai per sei mesi, fa l’accompagnatrice di
volo, Guille riceve una sua lettera ogni giovedì, il papà le parla ogni sera su
Skype. Ma i disegni di Guille raccontano
un’altra storia.
E perché la fissazione con Mary Poppins,
poi? Ma perché basta che Mary Poppins dica quella
parola magica lunghissima e tutto
diventa possibile- la mamma tornerà e papà non piangerà più davanti al
computer, e Nazia non dovrà più tornare in Pakistan per sposare il cugino
vecchio, ricco e grasso.
Nel libro di Alejandro Palomas non ci sono
bambini saputelli che dicono cose e fanno ragionamenti da piccoli geni. Anzi,
ci sembra che forse Guillermo voglia restare nel mondo magico di un bambino
più piccolo dei suoi nove anni perché così può credere che sia possibile
diventare grandi ed essere Mary
Poppins e fare di tutto con una sola
lunghissima parola. E poi, dall’altra parte, una parte di sé nascosta dentro le
scatole che contengono le cose della mamma e che fa capolino nei disegni, c’è un Guille più grande che è capace di
affrontare il dolore di una scomparsa- “Quando le persone scompaiono, dove
vanno?”, chiede alla psicologa Maria. “E’ come quando muoiono o è diverso?”, e
aggiunge, “Mia madre è a Dubai perché…perché è scomparsa”. Forse però è andata
da qualche altra parte, come Mary Poppins, e poi ritornerà. Dall’altra parte c’è
un Guille che non va in bagno a fare pipì per non passare davanti alla stanza
dove suo padre piange- e Guillermo sente di dover proteggere suo padre dal dolore.
In questo mondo visto da un bambino, i grandi hanno idee fisse e sono
irragionevoli- i maschietti come Guille non devono raccogliere fiori e porgerli
al padre, non devono indossare vestiti da donna per recitare, le bambine come
Nazia poi, di un’altra cultura, non possono mettersi i pantaloncini, neppure
per una recita. E’ una violenza
neppure tanto celata nei confronti dei bambini, perché si adeguino ai modelli
prefissati- rugby per un maschio, il matrimonio per una bambina.
Sembra una favola, il breve romanzo di
Alejandro Palomas che ha scelto il tono
leggero per parlare del dolore della perdita di una persona cara. E’ un
leggero che inganna, è un po’ come l’iceberg a cui la maestra paragona
Guillermo- c’è poco che si vede e tanto che è nascosto, c’è poco che viene
detto e tanto che è taciuto, che tocca
al lettore scorgere tra le righe.
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