Voci da mondi diversi. Russia
il libro ritrovato
INTERVISTA A LUDMILA ULITSKAYA
Si prova sempre una certa emozione, quando si incontra qualcuno che si
ammira. Sembra impossibile poter colloquiare con una persona che non ci conosce
ma che noi, invece, abbiamo l’impressione in certo qual modo di conoscere,
avendo letto i suoi scritti. Per superare questa emozione e, a mo’ di
presentazione, dico a Ludmila Ulitskaya che ho già letto e recensito il suo
romanzo “Le bugie delle donne”, e che lo avevo trovato molto bello. Non quanto
questo nuovo libro appena pubblicato, su cui ora le farò alcune domande.
Come ha ‘incontrato’ Daniel Stein, come persona in carne e ossa e come
personaggio del romanzo?
Avvenne che Oswald
Rufeisen arrivò a Mosca nel 1982 per cambiare aereo o treno: dal monastero
carmelitano di Haifa dove viveva stava andando a Mir, in Bielorussia, per
celebrare i 50 anni del ghetto. Per una fortunata coincidenza lo portarono da
me a passare le ore che avrebbe dovuto attendere a Mosca. Insieme a lui
arrivarono anche altre persone che- era chiaro- erano affascinate dal suo
carisma, volevano incontrarlo e iniziarono a parlare con lui, lì, in casa mia.
Non posso dire che ebbi subito l’idea di scrivere un libro, non succede così,
che l’idea ti viene il giorno stesso, ma ebbi la netta sensazione di aver a che
fare con una persona straordinaria, un ‘giusto’ nell’accezione ebraica del
termine, o un santo: non assomigliava a nessuno.
Come è proceduto il suo lavoro? Ha decomposto l’insieme di un quadro o
ha inserito tessera dopo tessera di un puzzle?
Bella domanda- il mio procedimento non è
stato né l’uno né l’altro, è stato più complesso. Mi sono capitate tra le mani
due testi biografici critici di Rufeisen, uno americano e uno tedesco, che
raccontavano di lui. Ho cominciato a tradurli con impegno e più procedevo e più
mi sentivo insoddisfatta. Avevo la sensazione che non fosse stato colto il
nocciolo, il senso di questa persona. Ho scritto all’autrice americana e le ho
chiesto se potevo commentare a pie’ pagina nell’edizione russa. Per fortuna si
è offesa e praticamente mi ha risposto che, se il suo testo non mi andava bene,
che ne scrivessi uno io.
Forse non sapeva che avevo già scritto
romanzi…All’inizio pensavo di fare una raccolta di documenti: sono andata in
Israele per parlare con il fratello di Oswald, nel monastero per proseguire le
ricerche. Ho scritto due libri di documenti- pessimi, li ho cancellati
entrambi. A parte l’insoddisfazione dal punto di vista creativo, mi sono resa
conto che non potevo scrivere un libro fatto di documenti, citando persone che
magari erano cristiani che vivevano in Israele e potevano venire danneggiati da
quanto scrivevo. Quella era la barriera da superare per uscire in uno spazio di
libertà: cambiare il nome di Oswald. Fatto questo, tutto risultò più facile, mi
sono trovata in uno spazio libero per poter lavorare. Avevo già lavorato per il
teatro e per il cinema, avevo sceneggiato sei o sette film, e, riflettendo, ho
capito che l’unico tipo di lavoro per quella tematica era un montaggio quasi
cinematografico.
Nel libro Lei dice che, come tutti i libri grossi, questo l’ha sfinita:
l’ha sfinita di più la mole immensa di lavoro o l’esperienza umana che ha
incontrato?
Parlando di libri
‘grossi’, questo è il mio dodicesimo libro che di certo non è piccolo. Eppure
forse non sono una vera professionista, perché ogni libro è come un parto, non
si raggiunge un livello di professionalità se si soffre tanto ogni volta. Ogni
volta è come la prima volta, dò al libro il mio sangue. Il romanzo che lei ha
letto, “Le bugie delle donne”, è stato un lavoro facile e allegro; “Daniel
Stein” è stato il massimo della fatica, come se fossi un donatore di sangue. E’
stato un libro con un’altra caratteristica: ho trattato con una marea di
persone e si sentiva come fossero felici di aiutare, di ricordare i dettagli.
Si capiva che soffrivano, perché ricordavano esperienze difficili. E la
reazione di queste persone rafforzava in me la sensazione che questo fosse un
libro necessario.
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