vento del Nord
cento sfumature di giallo
il libro ritrovato
Maj Sjöwall e Per Wahlöö, “La camera chiusa”
Ed. Sellerio, trad. Renato Zatti, pagg. 409, Euro 14,00
Stoccolma. Inizio dell’estate. Una donna
bionda con un cappello a tesa larga rapina una banca, uccidendo un cliente. Un
uomo anziano viene ritrovato morto nella sua stanza: c’era un gran puzzo, la
polizia ha dovuto sfondare la porta perchè era chiusa dall’interno, anche le
finestre erano chiuse. Il caso viene liquidato velocemente come suicidio,
nessuno fa caso al fatto che non c’è una pistola nella stanza, eppure il
vecchio è morto per un colpo di arma da fuoco al petto. Non c’è assolutamente
nulla che colleghi i due casi, neppure alla lontana, eppure…
Il nostro Martin Beck (è un vero peccato
che stiamo avvicinandoci alla fine della serie dei romanzi che lo vedono
protagonista e dovremo accomiatarci da lui) ha appena ripreso servizio dopo
quindici mesi d’assenza: se l’è cavata, dopo la sparatoria sul tetto che
terminava il romanzo precedente, “L’uomo sul tetto”, ma tuttora si sveglia ogni
mattina chiedendosi se sia vivo o sia morto. Di certo non è più l’uomo di
prima: uccidere un uomo che era un ex collega è stata un’esperienza
traumatizzante, l’aver sfiorato lui stesso la morte lo fa indugiare in riflessioni
sul senso di tutto- è come se anche Martin si trovasse in una camera chiusa,
senza uscita e senza risposte. Insieme a Martin Beck vediamo al lavoro i suoi
colleghi che ormai conosciamo bene, Gunvald Larsson, Rönn e Kollberg. Arrivati
ormai agli ultimi romanzi della fortunata serie, possiamo anche dire che Martin
e i poliziotti che gli sono più vicini sono il meglio della polizia svedese.
Perché la critica di Maj Sjöwall e Per Wahlöö si fa sempre più aspra e pungente
nei confronti del corpo di polizia- sia delle norme che lo governano sia dei
singoli individui che ne fanno parte- e dell’intera società svedese.
Il romanzo “La
camera chiusa” è del 1972 e, come ben dice il famoso giallista svedese Håkam
Nesser nella bella postfazione, è estremamente interessante rileggerlo ora,
confrontando la visione distopica degli autori con la realtà odierna. Erano
tempi più o meno di lotta armata dappertutto, tempi in cui le divisioni tra
destra e sinistra erano chiare e marcate- ci viene quasi da rimpiangere quegli
anni di forti ideali, di sogni e utopie, di condanne trancianti. Non esiste il
sogno svedese, secondo Maj Sjöwall e Per Wahlöö. Non esiste un wellfare state:
i pensionati sono coloro per cui i supermercati allestiscono scaffali con cibo
per cani e per gatti (l’unico che si possano permettere di acquistare, per se
stessi, ovviamente, e non per le bestiole). Il governo è quasi una dittatura di
destra, i cittadini sono schiavi del potere, il corpo di polizia seleziona i
suoi uomini in base alla stupidità. E per di più la polizia è armata. Non
parliamo poi della corruzione, a tutti i livelli. E neppure della giustizia: il
finale de “La camera chiusa” è esemplare, in senso negativo.
C’è solo un raggio di luce in questo
romanzo molto buio e dal tono decisamente didattico per l’urgenza di quello che
gli autori vogliono dire, per la critica che- Sjöwall e Wahlöö ci avevano
avvisato- è lo scopo dei dieci libri della serie di Martin Beck. E’ il
personaggio femminile di Rhea Nielsen, verso cui Martin, separato da anni dalla
moglie, si sente attratto. Perché Rhea, una donna impegnata peraltro, è
schietta, calorosa- e non solo con un invito sessuale. Rhea è così, generosa e
aperta verso tutti, inquilini e altri visitatori. Rhea pratica un socialismo
domestico e quotidiano che, se fosse diffuso su larga scala, sarebbe veramente
il sogno dei popoli.
Ancora una volta Maj Sjöwall e Per Wahlöö non ci hanno deluso.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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