INTERVISTA A MIGUEL SYJUCO
Uno scrittore filippino. Non avevo mai letto un romanzo di uno scrittore
filippino- anche se, parlando di “Ilustrado”, la prima cosa da dire è che si
tratta di un bellissimo romanzo, aggiungendo dopo che l’autore è filippino. E mi sentivo un poco emozionata
dalla novità dell’esperienza, di conoscere uno scrittore che viene da un paese
la cui voce non avevo mai sentito prima. Quando Miguel Syjuco inizia a parlare,
osservo subito il bel timbro della sua voce e la sua ottima pronuncia inglese.
Incomincio così a fargli la domanda che in realtà avrei voluto fargli solo alla
fine.
C’è un quesito ricorrente nel suo romanzo: può esistere una letteratura
filippina in inglese? Il suo romanzo è scritto in inglese, è un romanzo
‘filippino’?
Penso di sì, perché penso che uno scrittore debba usare gli strumenti
più adatti per lui. Nelle Filippine si parlano due lingue: il tagalog, che è parlato
da 22 milioni di persone su 80 milioni di abitanti, e l’inglese che è parlato
dalla maggior parte dei filippini. L’inglese è la lingua franca, il tagalog è
una lingua artificiale, parlata nell’area della capitale. Ma ci sono più
persone che parlano in inglese che in tagalog. I quotidiani sono in inglese, al
governo si parla in inglese: non c’è niente di artificiale nello scrivere i8n
inglese. Io volevo scrivere un romanzo sull’umanità, penso di essere prima di
tutto un essere umano e in seconda istanza un filippino. Non sono neppure un
rappresentante dei filippini, ma solo di una parte dei filippini. D’altra parte
le Filippine sono un paese multiculturale e multilingue.
Una delle prime cose che ammiriamo nel suo libro è l’architettura, la
combinazione dei diversi filoni delle diverse storie. Come è riuscito a
seguirne le tracce? Come ha organizzato le storie?
In realtà ho iniziato a scrivere il romanzo in maniera tradizionale, in
una narrativa diretta, ma non funzionava. Poi un giorno stavo guardando un
documentario sulla tessitura nel sud del mio paese e ho pensato che sarebbe
stato interessante creare il mio romanzo con lo stesso metodo, intrecciando
trame come fili per fare un disegno. Mi sono reso conto che era così che volevo
scrivere: ho creato file diversi sul computer, sviluppando filoni separati-
sapevo che alla fine molti sarebbero andati persi, ma la trama sarebbe
risultata nitida. Ho intessuto le varie storie consapevole del fatto che non
potevo usare un sistema tradizionale come collante, e ho pensato alla musica
jazz e alla musica classica, a come ci sia un motivo che ritorna come leit
motiv. E’ così che temi uguali di fondo si rincorrono nei vari filoni del
romanzo. E poi volevo anche scrivere usando le forme di vita contemporanea, per
non essere distaccato dalla realtà odierna. Oggi abbiamo blogs, internet, pettegolezzi,
conversazioni, stralci di notizie attraverso cui percepiamo il mondo. Volevo
usare tutto questo per dipingere il mondo nel mio romanzo.
Non è usuale che uno scrittore metta se stesso, con il suo nome, nel
romanzo che scrive: perché lo ha fatto?
E’ vero: in genere gli scrittori
amano mettere qualcosa di sé nelle loro opere ma nascondendosi dietro un altro
nome. Ho pensato che volevo onestà nel romanzo, traggo dalle mie esperienze per
scriverne, è un libro visto dalla mia prospettiva. Ho deciso anche di non
esagerare: Miguel non è me, c’è qualcosa di me in tutti i personaggi. Ognuno
rappresenta una parte di me, che cosa potevo diventare, le mie debolezze…
E, chiaramente, Crispin è un suo doppio: quali possibilità aggiungeva,
il personaggio di Crispin, alla sua narrazione?
Volevo soprattutto mostrare come ci siano
gli stessi problemi ricorrenti, di generazione in generazione. Per
cinquant’anni tutte le persone colte e privilegiate hanno avuto gli stessi
problemi e sono state incapaci di trovare una soluzione. Tutti hanno la stessa
incapacità a prendersi delle responsabilità- anche un secolo e mezzo fa gli
‘ilustrados’, gli ‘illuminati’, avevano gli stessi problemi. Volevo mostrare
come Crispin e Miguel, separati da quaranta anni, abbiano gli stessi quesiti,
volevo dare l’impressione che si potesse prendere una decisione per cambiare
qualcosa, che si poteva essere più socialmente impegnati e non lasciarsi
amareggiare dalla vita. Crispin è come un avviso per Miguel: in un certo senso
questo è un romanzo di formazione sia per Crispin sia per Miguel.
Tra i diversi filoni ce n’è uno particolarmente buffo, con il
personaggio di Erning, il Forrest Gump della situazione, un poco il buffone. Ha
lo steso ruolo del fool scespiriano,
per alleviare la storia?
Suppongo che tutto l’umorismo abbia questa
funzione. Più che un fool, un
buffone, è un innocente- e questo dice molto sul mondo di oggi. Forrest Gump è
l’innocente che non perde la sua innocenza, mentre Erning sì: volevo tracciare
la perdita di quella innocenza e creare quel modello che si ripete in figli e
nipoti, nelle generazioni.
La storia di famiglia di Miguel, con il padre assassinato
all’aeroporto, ci fa pensare a Benigno Aquino, l’uomo politico che fu
assassinato in circostanze analoghe. Che cosa rappresenta Benigno Aquino per le
Filippine?
Benigno Aquino è il nostro martire. Siamo
un paese cattolico e abbiamo un grande amore per i martiri. Crediamo che il più
grande martire sia Gesù Cristo. Il mio è un libro di domande e non di risposte
e sia Crispin sia Miguel si chiedono se possano focalizzarsi solo sul loro
lavoro, se la vita abbia un significato se non si è pronti a dare la vita, a
sacrificarsi per il proprio paese. E’ questa la domanda all’ombra del
personaggio martire di Benigno Aquino: è epico, è grandioso che questa sia
l’unica maniera per salvare il nostro paese. Benigno Aquino è il segno della
distanza che intercorre fra quelli che sacrificano tutto e quelli che pensano
solo a sé e alla loro vita.
l'assassinio di Benigno Aquino nel 1983 |
C’è una scena del libro a cui ho pensato spesso, in questi giorni dopo
lo tsunami in Giappone. E’ la scena di Miguel e la ragazza nell’automobile
travolta dall’acqua. Ora mi pare stranamente profetica: accadono di frequente
alluvioni del genere nelle Filippine?
E’ strano, ma, da quando ho incominciato a
scrivere il libro, nel 2009, ho visto accadere molte delle cose di cui parlo-
elezioni, violenze, scandali, alluvioni…Sono successe molte delle cose
descritte. Non sono Nostradamus: penso che accada perché il libro è un riflesso
di problemi ricorrenti. Le alluvioni sono uno di questi perché mancano le
infrastrutture nelle Filippine, non si draga, si disbosca illegalmente, ci sono
quindi smottamenti di terreno…E’ tutto conseguenza di problemi irrisolti.
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