Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
la Storia nel romanzo
FRESCO DI LETTURA
Monica Hesse, “La ragazza con la
bicicletta rossa”
Ed. Piemme,
trad. Claudia Manzolelli, pagg. 289, Euro 17,50
Amsterdam,
1943. I nazisti hanno invaso l’Olanda tre anni prima, da un anno Anna Frank
vive nel nascondiglio segreto insieme alla sua famiglia e manca un anno a
quando, a seguito di una delazione, sarà deportata in un campo di
concentramento. Girano voci, nessuno sa niente per certo ma è difficile credere
che vada tutto bene, che la gente che viene prelevata a forza dalle loro case
parta per una vacanza o per un normale campo di lavoro. Scarseggiano i beni di
prima necessità, fiorisce il mercato
nero. Una bicicletta è il mezzo più comodo per spostarsi, procurarsi quelle
che serve, fare le consegne.
Hanneke, la ragazza della bicicletta rossa, non è un’eroina. E’ una ragazza che cerca di arrangiarsi. Bionda,
occhi azzurri, è il perfetto tipo ariano, è difficile che sia fermata per un
controllo. Almeno finché rispetta il coprifuoco. Lavora in un’impresa di pompe
funebri e fa altri ‘lavoretti’: procura-
per chi può pagare- carne, caffè, sigarette, o qualunque cosa chiedano.
Nessuna generosità, da parte di Hanneke- bisogna pur sopravvivere. Con il ricordo che non riesce a cancellare
del suo ragazzo che è morto. Con il
senso di colpa che la soffoca. Si era arruolato volontario, aveva appena
diciassette anni. Ed era stata lei a spingerlo, quando combattere contro i
tedeschi sembrava un’azione gloriosa in
difesa della patria.
Poi
una vecchia signora, sua cliente, le chiede aiuto per rintracciare la ragazzina ebrea a cui aveva offerto un nascondiglio
in casa sua, dietro una libreria che si apriva sui cardini, un poco come il nascondiglio
di Anna Frank. Mirjam viveva lì e poi una sera non c’era più. Impossibile fosse
uscita dalla porta- la vecchia signora era fuori a chiacchierare con una
vicina, l’avrebbe vista. Hanneke non vorrebbe lasciarsi coinvolgere, poi
acconsente e le si svela una realtà
che non conosceva, che si nasconde dietro finti scaffali o armadi o botole o
nelle soffitte. Partecipa a cene che non sono cene ma pretesti per organizzare
operazioni di salvataggio, accompagna una ragazza a consegnare, non un pacco,
non della farina o dello zucchero, ma una neonata, una dei bambini che le madri affidano a sconosciuti in un
estremo atto d’amore, perché si salvino- almeno loro. Entra in quello che
una volta era uno splendido teatro ed ora è un centro di raccolta per gli ebrei,
prima della deportazione- Hanneke è
sconvolta. Più che mai vuole trovare Mirjam, salvare almeno una vita- non è così che dice il Talmud? Dovrebbe
essere un’impresa da poco in confronto allo sforzo quotidiano del gruppo di
giovani della resistenza con cui viene in contatto.
Ci sembra di avere già letto in altri
libri la storia che ci racconta la giovane scrittrice americana Monica Hesse
con una scrittura pulita e senza
grandi scosse. Con la ragazza dalla bicicletta rossa ci muoviamo per le strade
di una Amsterdam che conosciamo da altre letture, leggiamo storie che non ci
sembrano nuove, anche se non sapevamo, invece, dello Schouwburg che fungeva da
campo di raccolta, o delle fotografie scattate di nascosto perché servissero da
testimonianza.
Meglio
sarebbe stato tradurre alla lettera il titolo originale, “La ragazza dal
cappotto blu” (Régine Deforges ha scritto “La bicicletta blu”, ambientato in
Francia durante l’occupazione tedesca), anche perché il cappottino blu di
Mirjam, con quel colore di cielo spazzato dalle nubi, così visibile nella
colonna dei deportati nella luce grigia della sera, diventa il punto centrale
della trama, in quel colore si concentra la
banalità del male di Hannah Arendt, la
debolezza e la fragilità umana, il cedimento a sentimenti meschini che
possono portare alla morte di altre persone.
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