mercoledì 9 dicembre 2015

Mia Couto, “L’altro lato del mondo” ed. 2015

                                                                      Voci da mondi diversi. Africa
          FRESCO DI LETTURA


Mia Couto, “L’altro lato del mondo”
Ed. Sellerio, trad. Vincenzo Barca, pagg. 284, Euro 16,00


       La prima volta che vidi una donna avevo undici anni e mi sorpresi di colpo così disarmato che scoppiai in lacrime. Incomincia così, con le parole di Mwanito, il nuovo romanzo di Mia Couto (il suo vero nome è António Emílio Leite Couto), nato in Mozambico nel 1955 da genitori portoghesi emigrati nella ex colonia. Ed è interessante che, di tutta quella solitudine in cui il padre ha relegato Mwanito e suo fratello Ntunzi, la cosa che più fa male al cuore, la mancanza più grande, l’interrogativo curioso senza risposta sia quello sulla donna- che cosa è una donna? come sono fatte le donne? come era la loro madre? Ntunzi è più grande di Mwanito, lui si ricorda della mamma, può descriverla? perché non c’è più? che cosa è successo?
    Mwanito aveva solo tre anni quando il padre Silvestre li aveva portati- lui, Ntunzi, il domestico Zacaria e la giumenta Jezibela (così umana da soddisfare le velleità sessuali del mio anziano padre)- in un accampamento militare disabitato a cui aveva dato il nome di Jerusalém. Silvestre non aveva dato il nome solo al luogo, aveva ‘ribattezzato’ tutti quanti loro, tranne lui, il figlio più piccolo, a cui era stato lasciato quello con cui lo chiamavano, Mwanito, che significa ‘bambino’. Anche allo zio Madrino era stato cambiato nome ed ora si chiamava Aproximado- lo zio non faceva parte del gruppo, viveva accanto al portone d’ingresso della riserva e andava e veniva con un camion con cui portava cibo e beni di prima necessità ai cinque che Silvestre insisteva a dire che erano gli unici sopravvissuti ad un mondo che non c’era più.

    Tre parti scandiscono la narrazione de “L’altro lato del mondo”, una prima parte introduce i personaggi, trabocca delle domande di Mwanito colmo di nostalgia per qualcosa che non ricorda e che non conosce, tratteggia con efficacia il carattere dispotico del vecchio padre di cui Mwanito è il figlio preferito, il suo ‘accordatore di silenzi’, il bambino che riesce a dargli un poco di pace dal peso dei ricordi, mentre sorgono dubbi su che cosa sia successo a Dordalma, la moglie di Silvestre dalla pelle più chiara: è vero quello che dice Ntunzi, che il loro padre è un assassino?
La seconda parte, “La visita”, fa deflagrare la pace inquieta dell’accampamento: arriva una donna. Bianca, portoghese. Che cosa ci fa lì? Vuole veramente fotografare gli aironi? I due ragazzi se ne innamorano, l’adolescente Ntunzi con la sua sessualità appena risvegliata, il bambino Mwanito che la vede come una sostituta della mamma. Ad un certo punto la voce della donna si sostituisce a quella di Mwanito nella narrazione di un’altra storia, quella di un amore tradito, della partenza da Lisbona alla ricerca di un marito scomparso in Mozambico, di casi della vita per cui la donna incontra lo zio Aproximado e arriva nella riserva.

La terza parte, come un terzo movimento musicale, svelerà tutto il passato, di entrambe le storie, trascinandoci nella cruda realtà dell’altro lato del mondo dove si ama, si tradisce, si soffre, si muore, ci si vendica. Si vive.

    Ci si deve inoltrare nelle pagine del romanzo di Mia Couto per entrare nell’atmosfera e per calarsi in uno stile narrativo fatto di uno strano miscuglio di realismo e poesia, di crudezza e di simboli, di attualità e folklore, per accorgersi poi di aver letto una storia che va al di là del tempo e dello spazio definiti nel libro.


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