Voci da mondi diversi. America Latina
il libro ritrovato
Isabel Allende, “L’isola sotto il mare”
Ed. Feltrinelli, trad. Elena
Liverani, pagg. 426, Euro 19,50
Titolo originale: La isla bajo el mar
“Aspetta, Tété. Vediamo se ci aiuti a risolvere un dubbio. Il dottor
Parmentier sostiene che i neri siano umani quanto i bianchi e io dico il
contrario. Tu che ne pensi?” le domandò
Valmorain, in un tono che al dottore sembrò più paterno che sarcastico.
Lei rimase muta, con gli occhi rivolti a
terra e le mani giunte.
“Forza, Teté, rispondi senza timore. Sto aspettando…”
“Il padrone ha sempre ragione” mormorò lei in conclusione.
“In altre parole, pensi che i neri non siano completamente umani…”
“Un essere che non è umano non ha opinioni,
padrone.”
Quando si termina di leggere un libro e ci si accorge che la nostra
mente continua a seguire la storia che si svolgeva in quelle pagine, che i nomi
dei personaggi sono lì, sulla punta della nostra lingua, come dovessimo
chiamarli per far loro qualche domanda, vuol dire che la magia del romanzo ha funzionato ancora, che lo scrittore è
riuscito a creare un mondo che è diventato tanto reale quanto quello che ci
circonda. Avviene questo nel nuovo romanzo di Isabel Allende, “L’isola sotto il
mare”, un libro tanto dolente quanto “Paula”, anche se per motivi diversi,
perchè è un libro che ci riporta ai tempi in cui la ricchezza dei bianchi si fondava sullo schiavismo, legittimato
da assurde teorie sull’inferiorità della gente di colore, equiparata agli
animali. Ma è anche un libro che racconta la
lotta dei neri per la libertà e che ci parla d’amore, di fughe e di doppie vite, di cocottes e di incesto, di bambini bianchi e di altri bambini la cui
pelle viene scrutata e definita in base a sfumature di color cioccolato, o
miele, o caramello.
Ci sono due isole nel romanzo di Isabel Allende- l’isola di Saint Domingue, colonia francese che diventerà la prima
Repubblica nera di Haiti, e l’isola
sotto il mare di cui parlano gli schiavi neri e che è un poco come la mitica isola di Avalon, luogo
di pace per i defunti. Nel 1770
l’isola sotto il mare è dove tutti i neri di Saint Domingue vorrebbero andare,
piuttosto che vivere in quelle condizioni disumane, sottonutriti, puniti con
frustate al minimo sgarro, costretti a lavorare fino alla morte perché per il padrone è più economico
sostituire uno schiavo che mantenerlo in maniera migliore. Zarité, la piccola mulatta con gli occhi ‘color miele liquefatto’,
ha solo nove anni quando viene venduta a Toulouse Valmorain perché si occupi di
sua moglie. “L’isola sotto il mare” è la storia di Zarité, trasportata nella
piantagione di canna da zucchero di Valmorain, violentata dal padrone a undici
anni, madre giovanissima di un bimbo che le viene subito sottratto, infermiera
caritatevole della moglie di Valmorain che sprofonda nell’oblio dell’oppio dopo
aver dato alla luce Maurice. E’ Zarité a fare da mamma a questo bambino che lei
amerà sempre quanto la sua Rosette, un’altra figlia del padrone bianco, anche
se Zarité vorrebbe tanto fosse la figlia del suo amore per il bel ragazzo nero
che riuscirà a fuggire e a guidare la ribellione. Ed è la voce stessa di Zarité
che ascoltiamo in capitoli che terminano per lo più con un ‘Così ricordo’, a
sottolineare la distanza tra racconto
soggettivo della persona illetterata, affidato alla memoria orale, e quello
oggettivo della narrazione principale con cui si alternano.
Non so quale delle due narrazioni sia la
più avvincente ma, d’altra parte, sono talmente intrecciate l’una con l’altra
che la voce di Zarité serve quasi da controcanto, voce sottile e forte che si
distingue tra il rullo dei tamburi e dei canti degli schiavi che si fanno
sempre più minacciosi mentre la vicenda prosegue e passano gli anni. La notizia
della Rivoluzione francese arriva con ritardo nell’isola, serpeggia la paura
delle conseguenze, solo i più ciechi non vedono che, quando si scatenerà, la
furia dei neri sarà terribile e le violenze sui bianchi saranno ampiamente
meritate. Toulouse Valmorain riuscirà a fuggire, aiutato proprio da Zarité e
dal giovane nero che lei ama. Zarité salva Toulouse solo per amore dei bambini
e chiede in cambio l’emancipazione, per sé e per Rosette. Seguiremo ancora
entrambi, fino in Louisiana, dove Valmorain possiede un’altra piantagione e la
situazione degli schiavi non sarebbe migliore che a Saint Domingue se non fosse
per un sorvegliante irlandese che è un uomo buono e giusto.
Sono tantissimi i personaggi de “L’isola
sotto il mare”- ci sono i buoni e i
cattivi e i cattivissimi; a New Orleans c’è un prete che aggira la legge
che proibisce il matrimonio tra bianchi e neri con un taglietto sulle braccia
degli innamorati, cosicché si mescoli il loro sangue e ci sia del sangue nero
anche nel bianco; c’è una generosa donna di piacere che insegna l’arte
dell’amore, un dottore che vive una doppia vita con la moglie mulatta che non
può riconoscere e va a lezione di medicina da quella che comunemente si
chiamerebbe una stregona, un padrone crudele che finisce scuoiato…
A più di vent’anni di distanza
dall’indimenticabile “Casa degli spiriti”, Isabel Allende ci ha regalato un romanzo diverso e ugualmente molto bello,
mostrando la capacità di rinnovarsi e di cambiare. E se poi qualcuno vuole usare la parola ‘feuilleton’ per definire il
suo libro, faccia pure. Io direi che, finché ci sono libri come “L’isola sotto
il mare”, il romanzo non è morto, evviva il romanzo!
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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