Voci da mondi diversi. Cina
il libro ritrovato
INTERVISTA A DAI SIJIE, autore di “Muo e la vergine cinese”
E’ un momento di grande successo
per Dai Sijie, scrittore e regista cinese: ha ricevuto a Stresa il premio
Grinzane Cinema per il miglior libro da cui è stato tratto un film (“Balzac e
la piccola sarta cinese”) ed è appena uscito da Adelphi il suo secondo romanzo,
“Muo e la vergine cinese”. Abbiamo incontrato lo scrittore, che vive da quasi
vent’anni a Parigi, a Milano e abbiamo parlato con lui del suo film e dei due
romanzi.
Regista e scrittore: com’è la sua visione del mondo? Quando pensa a una
storia, la pensa in immagini o in parole?
Certamente per me viene
prima l’immagine e penso di non essere l’unico a cui succede così: molti
scrittori vedono un’immagine, non una scena, ma magari un ambiente. Non è
necessario che sia la fine o l’inizio del libro, può essere la parte centrale,
e si segue questa immagine per giorni e settimane finché ci si rende conto di
averla afferrata.
Fino a che punto è autobiografico il suo primo libro “Balzac e la
piccola sarta cinese”? è stato duro sopravvivere all’esperienza della
rieducazione?
E’ stata un’esperienza
autobiografica ma è stata romanzata. Sono stato testimone di questa vicenda: è
stato il mio amico- non io- che ha letto i romanzi rubati e poi li ha
raccontati ad una contadina, che nel libro è diventata “la piccola sarta”. Lei
è veramente cambiata e se n’è andata, anche se non è stata una cosa improvvisa,
ma lenta e sofferta: è andata e poi è ritornata ed è ripartita. La
rieducazione? Sono sopravvissuto. E’ stato duro, però quella che io ho
conosciuto è stata la fine della Rivoluzione Culturale: era iniziata nel 1966,
quando avevo 12 anni e, quando sono stato mandato in montagna ne avevo 17, era
il 1971. La rivoluzione era meno violenta, si era trasformata in qualcosa di
assurdo. Abbiamo vissuto tre anni nelle montagne, ma era più assurdo che
crudele. L’esperienza dei miei genitori è stata molto più dura, è una storia
lunga, ma erano stati considerati “nemici del popolo”. Il 5% dei cinesi erano nemici
del popolo e il 95% erano rivoluzionari- noi siamo stati sfortunati, eravamo in
quel 5%.
Che ne è adesso della generazione che è stata travolta dalla
rivoluzione culturale di Mao?
E’ una generazione che è
diventata, in un certo senso, speciale. Sono loro, quelli di questa
generazione, che occupano i posti importanti al potere. Anche nel campo
dell’arte, sono famosi o come scrittori, pittori, musicisti- tutti gli artisti
famosi sono stati rieducati e non è un caso. Per quelli che avevano una carriera
nel campo scientifico gli anni della rivoluzione sono stati anni persi, ma per
gli altri è stato un vantaggio, è stata una scuola migliore dell’università.
Quanto sapevano di quanto era successo, i giovani interpreti del film,
e come hanno reagito a sapere di quella esperienza?
Sapevano molto poco
perché è un argomento che i genitori non toccano. Sapevano che era stato un
periodo difficile e tormentato ma non sapevano in concreto che cosa fosse
successo. Questi giovani attori non facevano parte di un ambiente borghese, le
loro famiglie erano tra il 95% che erano rivoluzionari. Erano tre ottimi attori
ma i loro genitori, pur avendo la mia età, non avevano vissuto la stessa
esperienza.
La letteratura può cambiare la vita? E perché la letteratura francese
nel suo romanzo?
Sì, per me la letteratura può cambiare la
vita, la letteratura può cambiare la vita a chi la ama, a chi ama le parole,
perché sono le parole che strutturano il nostro pensiero. Quanto alla letteratura
francese, la storia della Cina è stata molto influenzata da due grandi
letterature, quella russa e quella francese. E, quando i ragazzi del romanzo
leggono dei libri proibiti, è logico che siano dei capolavori francesi perché
erano quelli che erano stati tradotti. Le traduzioni di Tomasi di Lampedusa o
di Calvino sono arrivate molto dopo, e la letteratura inglese- che peraltro io
amo molto- non ha mai avuto grande influenza in Cina.
Il suo secondo romanzo è una gustosissima parodia del romanzo
cavalleresco, Muo stesso cita Don Chisciotte: è una sorta di omaggio a
Cervantes?
Sì, anche se non direi
che si tratti di un omaggio, piuttosto di una strizzata d’occhio a Cervantes.
Adoro Cervantes, noi intellettuali cinesi gli assomigliamo. Anche noi abbiamo
cercato di cambiare la Cina ,
ma è stato un sogno da don Chisciotte, non c’è stato nessun risultato.
Il romanzo è anche una satira politica: è l’ironia lo strumento
migliore per indicare le colpe o le manchevolezze di un governo?
In realtà devo dire che non era nelle mie intenzioni scrivere un libro con un
messaggio politico, volevo parlare della Cina che ho visto e volevo far ridere:
mi piace far ridere, nel libro e anche nella vita.
Il nome Muo ha solo una vocale di versa dal nome Mao- è intenzionale?
No, in realtà pensavo ad
un amico che si chiama Huo, mi piace inventare un personaggio partendo dal
vero. Huo è veramente un grande psicanalista cinese, e poi era anche un gioco
allusivo ai personaggi del mio primo romanzo, che si chiamavano Mo e Luo.
Perché ha fatto del personaggio principale uno psicanalista?
Perché avevo bisogno del
contrasto tra la psicanalisi e la realtà della Cina, mi dava la possibilità di
metterci l’ironia. E in questa storia la psicanalisi cerca di penetrare
nell’inconscio asiatico.
Ha un preciso significato il fatto che Muo sia un interprete di sogni e
la donna sia un’imbalsamatrice di cadaveri, cioè che nessuno dei due abbia a
che fare con la vita reale attiva?
Sì, Muo è un personaggio
che all’inizio non fa parte della società cinese, è lontano dalla realtà in cui
entra a poco a poco, lui vuole cambiare la Cina.
Ma c’è anche il suo dramma personale: è uno psicanalista ma
non ha nessuna conoscenza della vita sessuale e sarà l’Imbalsamatrice di
cadaveri che lo inizia al sesso.
Nel romanzo la ricerca cavalleresca non è del Graal ma di una vergine
in Cina…
E’ il giudice corrotto
che chiede una vergine e in Cina tutti troverebbero la cosa assolutamente
normale. La ricerca ha anche un valore simbolico, è anche la ricerca dell’innocenza
che non si trova: non c’è l’innocenza in Cina.
l'intervista è stata pubblicata su www.stradanove.net
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