Voci da mondi diversi. Cina
il libro ritrovato
Ma Jian, “Pechino è in coma”
Ed. Feltrinelli, trad.
dall’inglese di Katia Bagnoli, pagg. 633, Euro 19,50
Titolo originale: Beijing Coma
Il giorno precedente avevo visto un pechinese marciare fino in Piazza
reggendo una grande fotografia di Mao. Disse che era venuto a sostenere gli
studenti. Gli chiesi se sapeva dell’ Incidente di Tienanmen del 1976. quando
Mao aveva approvato l’uso della forza per sedare una protesta portata in Piazza
da decine di migliaia di pechinesi contro la Banda dei Quattro, ma non ne aveva mai sentito
parlare. Non era una colpa: per quarant’anni il Partito comunista aveva
lavorato con impegno per cancellare la storia.
IL 4 GIUGNO E’ IL GIORNO PIU NERO DELLA
STORIA CINESE- avevano scritto gli studenti in caratteri giganteschi sulla
pietra del Monumento in piazza Tienanmen. Il 4 giugno 1989, su ordine di Deng Xiaoping,
i carri armati entrarono nella piazza facendo fuoco sugli studenti lì ammassati
per protesta da tre settimane. Tutto era iniziato come una manifestazione di lutto
per la morte del riformista Hu Yaobang e il movimento si era poi ampliato in
una protesta contro la corruzione ed una richiesta per un regime più
democratico. La repressione fu una strage- non si è mai saputa la verità sul
numero dei morti. Da una stima ufficiale di 200 morti civili si balza a quella
di 800 morti denunciate dalla CIA, di 2.600 della Croce Rossa, 3000 secondo un
sito inglese di Pechino. A questi numeri vanno aggiunti quelli dei gravemente
feriti, degli arrestati, torturati, imprigionati.
“Pechino è in coma”, il libro dello
scrittore dissidente cinese Ma Jian, che vive all’estero (dapprima a Hong Kong,
poi in Germania e attualmente a Londra) dopo la messa al bando delle sue opere,
ci riporta a quel giorno di vent’anni fa. Più precisamente, ci riporta a ‘quei’
giorni, al mese di preparazione che sarebbe culminato nel massacro. E noi
sappiamo che tutta la narrazione convergerà lì, in quel giorno in cui il
protagonista Dai Wei fu colpito da un proiettile in testa. Non è morto, Dai
Wei, ma è un morto che vive nella sua ‘tomba di carne’- alla fine del libro,
quando è già il 1999 e Pechino si prepara ad ospitare le Olimpiadi, sono dieci
anni che Dai Wei è in coma. Assistito dalla madre, che non ne può più, che non
ha soldi sufficienti per pagare le soluzioni di glucosio sostitutive
dell’alimentazione per il figlio, che ricorre alla medicina alternativa per
sperare oltre la speranza (e finisce anche in carcere per questo), che arriva a
vendere un rene di Dai Wei per procurarsi un poco di denaro e che sprofonda in
una lenta demenza, sfidando il governo (lei che è sempre stata fedele al
Partito) nel rifiuto di abbandonare la sua casa, che viene demolita nel
programma di ricostruzione edilizia in vista delle Olimpiadi.
Sono due le narrative di “Pechino è in
coma”, entrambe filtrate dalla voce di Dai Wei, ma una impiega il tempo al
passato e l’altra quello al presente. Nella prima, Dai Wei ricorda; nella
seconda Dai Wei, prigioniero del suo corpo, ascolta. Continui a tornare a quel momento, in cerca del suono dimenticato
dell’unico sparo. Ecco, Dai Wei sa, nel torpore comatoso, che l’attività
mentale del ricordo può riportarlo alla vita. Sa che, quando riuscirà a
ricostruire tutto il passato nella sua mente e arriverà infine al suono dimenticato dell’unico sparo che
ha colpito lui, inizierà una nuova vita.
Dai Wei ricorda- il padre
musicista che era tornato dai campi di rieducazione nel 1980, che cosa aveva
significato per loro, sua madre, lui e suo fratello, avere un marito e un padre
‘destroide’, la sua unica esperienza del carcere per aver letto e copiato un
romanzo proibito, l’università, il primo grande amore per A-Mei (che lui non ha
mai dimenticato, aveva creduto di vederla anche un attimo prima che gli
sparassero in testa), il sesso, l’incontro con Tian Yi (che non dimenticherà
mai lui, continuando a telefonargli anche dall’America, anche alla vigilia del
suo matrimonio, nel 1999), il fermento di ribellione che aveva portato
all’occupazione di piazza Tienanmen. I dialoghi tra gli studenti sono quelli che
occupano lo spazio maggiore nei ricordi di Dai Wei, e sono parole che si
sarebbero potute ascoltare durante le occupazioni studentesche in Europa- non
vanno mai nel profondo, non sono mai analisi teoriche; sono piuttosto
manifestazioni di insoddisfazione e disagio, utopisticamente vagheggianti una
realtà migliore. Non cercavamo di
rovesciare il Partito o di attaccare Mao- ricorda un amico che è venuto a
trovare Dai Wei. E naturalmente gli studenti parlano anche di donne e di sesso.
E poi, quando occupano la piazza, della fame degli scioperanti, di chi si è
sentito male, della visita di Gorbacev a metà maggio che non deve essere
turbata. Si illudono che il Governo non ricorrerà alle maniere forti contro di
loro, perché ci sono troppi giornalisti stranieri a Pechino. Restano sgomenti
di fronte alla legge marziale, mettono ai voti se restare o andarsene. Poi
arrivano i carri armati.
A tratti ci smarriamo nei discorsi dei
giovani, spesso abbiamo difficoltà a ricordare i loro nomi, eppure c’è un
effetto di accumulo nei ricordi di Dai Wei, una memoria che è in stridente
contrasto con l’amnesia collettiva della Cina che risalta nella seconda
narrazione del tempo presente, in cui il luogo si è ristretto- dalla piazza
enorme alla stanzetta con il letto di ferro in cui giace Dai Wei, il vociare
degli studenti è sostituito dal silenzio di Dai Wei e dal racconto dei compagni
che vengono in visita (che ne è stato dell’uno e dell’altro, chi è andato
all’estero e chi è stato allontanato, chi è rimasto fedele e chi ha tradito gli
ideali), il tempo si dilata- dalle tre settimane in piazza Tienanmen ai dieci
anni di una Pechino che cambia (è morto Deng Xiaoping, l’uomo che mi ha privato della vita è morto. Ma anche l’odio che
provavo per lui è morto tanto tempo fa. Arrivano persino i cellulari e i
computer). Eppure, è Pechino che è in coma, un coma molto più profondo di
quello di Dai Wei. “Tutti là fuori sono
malati di testa. Chissà, forse tu sei l’unica persona sana di mente rimasta in
città”, gli dice l’infermiera. Perché mentre Dai Wei si sforza di
ricordare, là fuori c’è una sistematica distruzione della memoria: ogni anno,
all’anniversario della strage, la polizia scorta Dai Wei e sua madre in vacanza
da qualche parte. Perché non parlino, perché non rispondano a nessuna domanda.
Quello su cui si tace non è mai successo.
Il processo di cancellazione del passato
raggiunge alla fine un duplice culmine: Dai Wei completa nella sua mente la
ricostruzione di quanto è avvenuto e sua madre smarrisce la memoria; il rumore
dei cingoli dei carri armati risuona forte come allora nella testa di Dai Wei
e, in strada, i bulldozer che abbattono le vecchie case fanno un rumore
infernale.
“Pechino è in coma” è un libro che doveva essere scritto. “Pechino è in
coma” è un libro che deve essere
letto. Per non sprofondare tutti nel coma.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
Ma Jian |
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