painting fiction
il libro ritrovato
Tracy Chevalier, “Strane creature”
Ed. Neri Pozza, trad. Massimo
Ortelio, pagg. 283, Euro 16,50
Titolo originale: Remarkable Creatures
“Be’, quando Mary Anning lo scoprì cambiò, senza volerlo, il nostro modo
di vedere il mondo. Di colpo era apparsa questa creatura misteriosa, di cui non
c’era traccia sulla terra. Una creatura che non esisteva più da chissà quanto
tempo, una specie estinta…ovvero, scomparsa per sempre. Quella scoperta fece
nascere il dubbio che il mondo fosse soggetto ai cambiamenti, che si
trasformasse, anche se molto lentamente, invece di rimanere sempre uguale a se
stesso, come si pensava in precedenza.”
Mary Anning. Non conoscevamo questo nome- almeno, penso che non lo
conoscesse la maggioranza di noi lettori. Un nome che non ci dice nulla, di una
ragazzina vissuta quasi duecento anni fa sulla costa inglese che si affaccia
sulla Manica, in una cittadina famosa per il suo clima, tanto da aver ospitato
dei re fin dal secolo XIII e da aggiungere, così, una specificazione al suo nome.
Non più solo Lyme, ma Lyme Regis.
Dopo aver letto “Strane
creature”, sapremo molto di Mary Anning: Tracy Chevalier è nuovamente riuscita
a compiere quel piccolo miracolo che solo uno scrittore può fare e che ci aveva
incantato nel suo primo romanzo, “La ragazza con l’orecchino di perla”- dare
vita ad un personaggio marginale che ha vissuto un momento importante nella
storia della cultura dell’umanità, restituire a quel personaggio la sua
pienezza, riconoscendogli il ruolo che ha avuto e che è stato dimenticato,
oscurato da protagonisti di maggior rilievo.
Mary Anning |
Mary Anning aveva un dono, quello di
individuare, nel grigiore della sabbia e nell’impasto arruffato delle alghe, il
contorno di un fossile- un’ammonite, una belemnite, un giglio di mare, o un
altro di quelli che la gente comune chiamava ‘ninnoli’ e che venivano venduti
ai turisti di Lyme. Forse l’aveva ereditato dal padre, un ebanista, che le
aveva anche insegnato a cavare i fossili dalla sabbia e a pulirli col
raschietto senza rovinarli. Fin qui, niente di straordinario. Un giorno, però,
Mary Anning scorse qualcosa di più grosso tra le rocce calcaree e la sabbia: il
cranio di un animale che lei e il fratello continuarono a lungo a chiamare ‘un
coccodrillo’, anche quando gli studiosi lo avevano già rinominato ‘ittiosauro’.
Dopo l’ittiosauro un altro scheletro di animale venne, per così dire, alla
luce- era diverso dal precedente, collo lunghissimo, corpo a barile, coda corta.
Era il plesiosauro, la ‘quasi lucertola’. Ormai l’intero mondo della scienza
aveva gli occhi puntati su Mary Anning.
Tracy Chevalier fa recitare due personaggi
sul palcoscenico del suo romanzo, alternando capitoli in cui dà la parola a
Mary Anning e quelli in cui è Elizabeth Philpot a parlare. La quasi bambina
Mary, quasi illetterata, rozza, con i capelli arruffati e le mani e il viso
sempre sporchi, e la ‘blue-stocking’ (come venivano chiamate, con un certo
disprezzo, le donne colte nell’800) Elizabeth, ancora giovane ma già zitella
per i canoni dell’epoca. Mary proviene da una famiglia di poveri artigiani (il
padre fa il falegname e la madre lava la biancheria dei ricchi, per guadagnare
due soldi), non si è mai allontanata da Lyme; il padre di Elizabeth era
avvocato, come lo è suo fratello, e abitavano a Londra: Elizabeth si è
trasferita con due sorelle a Lyme per riuscire a campare con la rendita annuale
lasciata dal padre (conosciamo dai romanzi di Jane Austen, che peraltro viene
nominata nel libro, quale fosse la situazione economica delle fanciulle di
buona famiglia ma senza una dote da catturare un marito). Mary ha occhio e
intuizione; Elizabeth ha passione e una certa cultura in geologia. E, come già
aveva fatto ne “La ragazza con l’orecchino di perla” in cui apprendevamo i
dettagli della miscela delle polveri per preparare i colori e insieme
coglievamo i palpiti del cuore della servetta che posava per Vermeer, Tracy
Chevalier ci spalanca le porte di un passato al di là di qualunque memoria
umana, ci incuriosisce con le descrizioni di fossili e di vertebre e mascelle
che ci tramandano un messaggio muto, e, nello stesso tempo, tesse una trama
leggera di gelosia femminile, mentre Mary si affaccia all’amore ed Elizabeth se
ne accomiata, e lascia affiorare i grandi quesiti che troveranno una risposta
più tardi, con Darwin. Si deve dare un’interpretazione letterale alla Genesi?
Che animali sono, quelli dei giganteschi scheletri? Una specie mal riuscita che
Dio ha deciso di eliminare?
In più, la scrittrice inglese ha un tocco
particolarmente felice nelle descrizioni del paesaggio- il ritmo delle maree, i
marosi che provocano frane e un continuo alterarsi della costa: una metafora
per il cambiare della scena umana e animale nei tempi? E, nelle vie cittadine,
passeggia la folla dei turisti- pare quasi un quadro, una miniatura a punta
fine.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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