Voci da mondi diversi. Medio oriente
cento sfumature di giallo
il libro ritrovato
Matt Beynon Rees, “Morte a Gaza”
Ed. Cairo, trad. Massimiliano
Galli, pagg. 316, Euro 17,00
Titolo originale: A Grave in Gaza
“Che cosa ne sapete delle Brigate Saladino? Che cosa ne sapete della
vita a Rafah? Questo è il luogo più dimenticato della Palestina. Qui tutto è
peggio che da qualsiasi altra parte. Più martiri durante l’intifada che in
qualsiasi altro posto. Più invasioni degli israeliani. Non avete idea della
vita che si fa qui, o di come mio fratello lavorasse per la gente”.
Attenzione, prego: è apparso un nuovo
straordinario personaggio sulla scena del romanzo di indagine poliziesca, di
nome Omar Yussef. E dobbiamo subito correggere due errori, o inesattezze,
nell’affermazione appena fatta. Perché “Morte a Gaza” è il secondo libro della
serie che ha per protagonista Omar Yussef e quindi il personaggio non è nuovo,
ma è semplicemente sfuggito alla nostra attenzione, e lo scrittore-giornalista
Matt Beynon Rees non segue da vicino i canoni del genere, offrendo anzi
un’interessante variazione: il capo della polizia appare nel romanzo, ma il
palestinese Omar Yussef, protagonista indiscusso, è insegnante di storia e
preside di una scuola ONU in un campo di rifugiati vicino a Betlemme. Che poi
la dodicenne nipote preferita gli crei un sito internet in cui, a sua insaputa,
Omar si presenta come “l’agente O., dispensatore segreto di giustizia per la Palestina ” che affronta
“le iniquità con buon umore e un alto senso di decenza e onore”, è un tocco di
umorismo tipico dello scrittore gallese, inviato della rivista “Time” a
Gerusalemme.
Dal titolo comprendiamo che il romanzo è
ambientato nella striscia di Gaza, terra tormentata e senza pace, in passato,
quando gli israeliani vi si stabilirono come coloni spossessando i palestinesi,
e nel presente del dopo-il-2004, quando Sharon decise il ritiro dei coloni. “Questo posto è in guerra.”, dice uno
dei personaggi. “Non con gli israeliani,
ormai gli unici che li combattono sono gli integralisti. Siamo in guerra con
noi stessi.” Si stanno ammazzando a vicenda, i palestinesi, divisi tra le
due fazioni (Fatah e Hamas, mai nominate nel romanzo) che sostengono il
colonnello Al-Fara (candidato presidenziale appoggiato dalla CIA) o il generale
Husseini che vuole scalzarlo nelle grazie degli americani. E quello che
importa, per avere il favore degli americani, è impedire gli attacchi
terroristici, non toccare Israele. Ma perché è stato arrestato Eyad Masharawi,
insegnante per l’ONU in un campo profughi e professore universitario? Possibile
che sia solo perché ha denunciato la compra-vendita di lauree universitarie? Il
suo arresto, che precede di poco l’arrivo di Omar Yussef e del collega svedese
Wallender per un’ispezione alle scuole ONU dei campi profughi di Gaza, coincide
con l’omicidio di un agente della polizia militare di cui viene accusato un
membro delle Brigate Saladino.
Omar Yussef prova lo stesso
nostro sconcerto davanti alla diversità delle forze in campo: Polizia Militare,
Sicurezza Preventiva, Brigate Saladino di Gaza e le rivali Brigate Saladino di
Rafah sul confine egiziano- il capo della polizia suggerisce ironicamente di
fargli uno schemino per aiutarlo a ricordare, dicendogli che a Gaza nulla è ciò
che sembra, a Gaza non esistono crimini isolati, ognuno è collegato a molti
altri. E comunque finirà tutto molto male per molte persone, tra arresti,
agguati, sequestri di persona, missili anticarro. Non prima che Omar Yussef- o
Abu Ramiz, come viene chiamato, secondo l’uso arabo di appellarsi ad un uomo in
quanto ‘padre’ del proprio figlio- abbia visitato le prigioni, sia stato
informato sul metodo della tortura ‘manicure Husseini’, sia entrato nella casa
ospitale della moglie di Musharawi e in quelle sfarzose del rettore
universitario e dello stesso Husseini, abbia raggiunto il confine dell’Egitto
sotto cui si scavano tunnel per il contrabbando di armi. Di un nuovo prototipo
di missile, in particolare, migliore dei razzi Qassam.
Il cielo azzurro torna soltanto alla fine
di tutta la vicenda, quando vengono rimessi nella tomba i resti del soldato
inglese morto in Palestina in una guerra lontana e viene interrato il suo
discendente che un gioco della sorte ha portato a morire nello stesso posto.
Fino ad ora aveva soffiato il khamsin, quasi un pianto di polvere di una
divinità, una tempesta di sabbia che aveva accecato il nostro mite Omar Yussef
dai capelli bianchi, gli aveva riempito gli occhi di lacrime, “l’aveva soffocato finché era stato
costretto a smettere di piangere”. E’ forse inutile piangere sulla nostra
disgraziata umanità?
Quando si dice che un romanzo supera i
limiti del genere e ci aiuta a comprendere la realtà storica- è il caso di
questo romanzo: leggetelo.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
Matt Beynon Rees |
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