Voci da mondi diversi. Medio Oriente
INTERVISTA A HODA BARAKAT, autrice di "L'uomo che
arava le acque"
Hoda Barakat è nata nel 1952 in
un villaggio di montagna nel nord del Libano, ha studiato a Beirut dove si è
laureata in letteratura francese poco prima dello scoppio della guerra civile. Nel
1989 si è trasferita a Parigi dove vive e lavora come giornalista. Nel 2000 ha
vinto il prestigioso premio letterario Naghib Mahfouz e nel 2002 è stata
insignita dal governo francese del titolo di cavaliere, un onore inconsueto,
visto che Hoda Barakat scrive in lingua araba. Stradanove l'ha intervistata in
occasione della presentazione del suo romanzo a Milano.
Una Beirut fantasma sullo
sfondo del suo romanzo "L'uomo che arava le acque", una visione
struggente di una città amata e in rovina. Lei ha vissuto a Beirut, è questa
l'immagine che ha con sé della sua città?
Probabilmente sì. E' vero che è una città
inventata, inventata dal dolore che ho accumulato durante il periodo che cadeva
in rovina, una città che ho rivisto in sogno, cercando di ricordarmi come era
prima che tutto questo cominciasse. E' durato 16 anni il saccheggio e a volte
mi domando se ho veramente mai abitato là, nella città che io ricordo. Beirut è
passata attraverso una lunga agonia, distrutta giorno dopo giorno, è come un cadavere
che è appartenuto un tempo a una persona.
Immagino che Lei usi il
francese nella sua attività giornalistica: come mai ha scelto di scrivere in
arabo il suo romanzo? anche i suoi precedenti romanzi sono stati scritti in
arabo?
Sì, i miei libri sono tutti scritti in
arabo. E' la mia lingua, la mia scelta, il mio ultimo paese. E' vero anche che
sarebbe più attraente per il mercato, per essere conosciuta, se scrivessi in
francese. Ma il francese non è la mia lingua, né la mia lingua madre, né la
lingua da me scelta. Il francese è una lingua magnifica, ma scriverei
diversamente se scegliessi di scrivere in francese. Ho quasi un bisogno fisico
di questa lingua araba antica e moderna, ricca e difficile da lavorare.
C'è il rombo della guerra
continua nel romanzo: lei ha vissuto questa esperienza?
Ho vissuto a Beirut fino al 1989. Ho
accompagnato la mia città e il mio paese nella guerra civile. E continuo a
vivere questo dramma per procura, non si esce mai indenni da una guerra così
lunga.
Tutti i miei romanzi hanno come
protagonista un personaggio maschile molto speciale. Nel primo romanzo un
omosessuale, o qualcuno che in ogni modo ha perso la sua identità sessuale; nel
secondo, "Malati d'amore", è un uomo che racconta la storia d'amore
vissuta con una donna. Non pretendo di prendere il ruolo dell'uomo scrivendo,
ma per me è più attraente complicare la composizione, distanziarmi dai miei
personaggi e, poichè non parlo di me, voglio essere libera e dimenticare la mia
identità sessuale per essere uomo e donna insieme. In fin dei conti uno
scrittore non ha sesso. In questo romanzo l'uomo è un lato di un triangolo che
non può esistere senza gli altri due lati, che sono la madre e la donna da lui
amata.
La donna amata da Niqula,
Shamsa, è curda: in che termini si pone il problema delle diverse etnie e delle
diverse religioni in Libano?
La guerra civile ha ridotto il sogno collettivo in briciole. Ne sono
stata particolarmente ferita perché io ho creduto a questa armonia che poteva
venire da un crogiuolo di persone e pensieri diversi. Sono sempre stata
attratta dalle persone diverse da me, mi sono sempre sembrate una fonte di
ricchezza. Ma il mondo attuale non va in questa direzione, tende a ripiegarsi
su se stesso, a creare gruppi che si isolano, escludendo i "non
puri". Questa è una vera perdita, perché si abdica ad aprirsi ed è una
perdita non solo locale e regionale, ma universale.
Affascinante il tema delle
stoffe come simbolo della bellezza e dell'arte che sono eterne. Da dove le è
venuta l'idea e come ha raccolto tutte le storie incantatrici sui tessuti?
La storia dei tessuti è una storia
magnifica, ma almeno all'inizio mi è servita come un alibi per raccontare la
storia del mondo attraverso qualcosa di bello. All'inizio questa idea si è
accompagnata in me al senso della perdita di un'epoca, quando si sceglievano i
tessuti che si adattavano al corpo e c'era una dimensione erotica dell'abito.
Ricordo quando ero piccola e andavo con mia mamma nel suk a scegliere le
stoffe, toccandole, pensando come potevano essere lavorate e poi c'era il rito
della sarta che veniva in casa. Per documentarmi sui tessuti sono andata a
vedere esposizioni, mercati e ho scoperto un sacco di cose. La grande scoperta
è stata che la storia delle stoffe poteva raccontare la storia di una regione,
la storia del mondo, la storia delle antiche civiltà.
E il particolare della
malattia della seta studiata da Clérambault?
E' tutto vero. Clérambault è un vero
psichiatra ed è esistito proprio come ho raccontato. Sono stata a vedere gli
archivi della sua clinica, gli studi da lui fatti di come la vicinanza della
seta poteva far ammalare una donna. D'altra parte perché i musulmani trovavano
che fosse troppo pericoloso che le donne uscissero vestite di seta? Perché due
perfezioni messe insieme attirano l'ira e il castigo di Dio. Infatti il corpo
della donna è già una perfezione e vi si aggiungeva un'altra perfezione, quella
della seta che è una perfezione della creazione, perché viene da una proteina e
il filo di seta non si lavora, la seta nasce perfetta.
Nella citazione di Borges all'inizio
del libro si parla degli antichi fenici che solcavano il mare. I libanesi sono
una progenie degli antichi fenici e perciò da un lato abbiamo la storia del
solcare il mare che è uguale all'arare - e io sono orgogliosa di questa razza
curiosa che è andata per mare per vedere che cosa ci fosse oltre l'orizzonte,
dall'altra parte è vero che arando l'acqua non si ottiene nulla. Alla fine del
libro Niqula si domanda a che cosa sia servito tutto quello che il padre gli ha
insegnato, perché si rende conto che è la fine di un'epoca, che lui è proprio
come "l'uomo che arava le acque" non lasciando nulla dietro di sé.
Hoda Barakat, "L'uomo che
arava le acque"
Ed. Ponte alle Grazie, pagg.184,
Euro 12,00
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