sabato 17 maggio 2014

Elias Khoury, "Specchi rotti" ed. 2014

Voci da mondi diversi. Medio Oriente      

fresco di lettura
     
Elias Khoury, “Specchi rotti”
Ed. Feltrinelli, trad. E. Bartuli, pagg. 428, Euro 20,00
  
Eppure era tornato a Beirut per potersi guardare allo specchio, per prendere le distanze, e si è ritrovato immerso in una realtà che non ammette né simbolismi né interpretazioni. La guerra civile è molto più di qualsiasi altra guerra, perché cristallizza la verità in parole e pulsioni nude e crude. Le idee, le ideologie, i concetti possono resistere solo se li si sistema in bell’ordine in un contenitore, solo se li si amalgama, se li si macina. E la guerra civile non ha contenitori, è giusto un ammasso di specchi infranti, una composizione di schegge messe in fila una vicina all’altra ma che continua a risultare irrimediabilmente scomposta.

     E’ proprio uguale a noi l’immagine che ci restituisce uno specchio? E come potremmo mai saperlo, se è identica o se, in qualche sottile maniera, è diversa? Il romanzo dello scrittore libanese Elias Khoury, “Specchi rotti”, è interamente giocato sul tema del doppio, dell’immagine speculare eppure diversa, dell’imminente catastrofe che si può abbattere con la rottura degli specchi, distruggendo tutto. E, come spesso avviene nei romanzi del Medio Oriente, “Specchi rotti” trabocca di storie- non è forse orientale la mitica Sherazad che allontana la morte con le storie che racconta ogni sera? “Sono stanco di storie”, si lamenta, verso la fine, il protagonista Karim.
    Karim Shammas ritorna a Beirut dopo anni di assenza. Ora vive a Montpellier, è un medico, ha sposato una francese bionda e con gli occhi azzurri, ha due bambine. Ritorna perché suo fratello Nassim gli ha proposto di costruire ed organizzare un ospedale insieme. Karim e Nassim: tutti li prendevano per gemelli, da bambini, il padre si vantava di aver avuto due figli nello stesso anno. Uguali eppure così diversi, Karim studioso e pavido, Nassim che superava gli esami solo se era suo fratello a sostenerli per lui. Karim che era stato innamorato a lungo di Hind senza mai andarci a letto, Nassim che era stato istruito al sesso dalla prostituta preferita dal loro padre. Karim che avrebbe dovuto occuparsi della farmacia di famiglia e Nassim che l’aveva trasformata in una rivendita di droga. Quando Karim era partito per la Francia, era stato Nassim a sposare Hind. E il ritorno di Karim significa ripiombare nel passato, lasciarsi avvolgere dall’atmosfera sensuale del Libano, tradire la moglie bionda con la donna che viene a fare le pulizie e con la moglie dell’architetto che sta lavorando ai progetti dell’ospedale, occhieggiare Hind che non lo ha mai scordato, assaggiare tutti quei piatti profumati che piacevano tanto a suo padre e che lui credeva di aver sostituito con quelli francesi. Significa scoprire come sia morto il loro padre che preparava dei filtri d’amore in farmacia.
Significa vivere in una città in cui la guerra non finirà mai, anche perché è una guerra con motivazioni ambigue, una guerra civile che spacca il paese in due intorno alle due città maggiori, Beirut a Sud e Tripoli a Nord, che erano state, in passato, le due città con cui si identificavano i due fratelli Shammas. Beirut cristiana e Tripoli musulmana. Significa ricordare i compagni di lotta, Malak Malak che aveva assassinato due capi dipartimento e di cui si diceva avesse cambiato faccia con un’operazione chirurgica, la giovane Jamal che era morta in un attacco suicida (Karim si era rifiutato di unirsi a lei), l’amico che era stato ucciso in prigione e la moglie di questo che era stata sgozzata insieme alla loro bambina. E Sinalcol, ‘lo spettro della guerra civile’, personaggio misterioso che Karim chiama ‘il mio specchio libanese’, Sinalcol che forse è lui stesso, perché ‘Beirut è una città di specchi dove ognuno è se stesso e molti altri’.
   C’è un sogno, fatto da Hind e ripetuto da Karim che lo ha fatto suo- le due grosse rocce nel mare davanti a Beirut affondano. Un sogno cupo e premonitore che anticipa il finale quasi apocalittico- il progetto dell’ospedale è sfumato, l’architetto e la moglie partono per il Canada, Karim sfugge a vecchi compagni di lotta che vorrebbero da lui delle carte che Karim si rifiuta di dargli, il tassista che lo porta all’aeroporto (stranamente i voli partono) lo fa scendere prima, abbandonandolo in strada con la valigia. Si sentono cadere le bombe, esplodono colpi di mortaio. Karim entra nell’aeroporto, vetri infranti gli scricchiolano sotto i piedi- “ha pensato che una morte così sarebbe stata la chiusa perfetta per un romanzo di Elias Khoury.”

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it

Elias Khoury


   

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