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INTERVISTA A BINYAVANGA WAINAINA, autore di “Un giorno scriverò di
questo posto”
Incontrare lo scrittore kenyota
Binyavanga Wainaina, sentirlo parlare- è come leggere il suo libro. Perché
parla con la stessa foga e la stessa
vivacità che affiorano in ogni pagina di “Un giorno scriverò di questo posto”.
Si ferma a pensare un attimo, dopo ogni domanda, a raccogliere le idee, e poi
si getta a capofitto nella risposta. E non risponde solo con le parole:
l’espressione del suo viso mobilissimo e gli occhi parlano insieme a lui.
Non conosciamo l’Africa.
Abbiamo bisogno di un interprete per conoscere l’Africa. Parliamo del
tribalismo, prima di tutto. Quanto serio è il problema del tribalismo in Kenya?
Nel suo libro Lei sembra attribuire l’alto grado di corruzione in Kenya al
tribalismo: ma non è forse dappertutto la corruzione, in Egitto, in Italia,
come in Kenya?
Direi che forse è
l’opposto: non è il tribalismo ad essere causa della corruzione ma è una
conseguenza di questa. In Kenya ci sono 43 micronazioni che hanno chiesto di
entrare in una nazione. La domanda è: quanto ci fidiamo del nostro futuro? Il
tribalismo aumenta o diminuisce a seconda delle speranze e dei timori che
ciascuno nutre nel futuro. Stiamo vivendo un momento al contempo tremendo e
meraviglioso. Ci sono voluti cinque anni per la implementazione della nuova costituzione.
Adesso ci sono 47 contee in Kenya, ciascuna con il suo bilancio- sia le
speranze sia i timori sono grandi.
Kikuyu, luo, masai- per noi sono solo nomi. Qual è la differenza? E’
una differenza etnica?
Ci sono delle teorie
secondo cui le tribù sono un’invenzione coloniale. In Africa si parlano 3000
lingue, ci sono stati più grandi dell’Europa con migliaia di lingue oppure
stati scarsamente popolati ma con tante lingue. Che cosa è una tribù?
L’impressione è che, per necessità burocratica, si inventi la necessità di una
tribù- si cerca la tribù che fa al caso.
Non appena una élite di classe
media si afferma, acquista degli interessi e cerca di difenderli. La maggior
parte degli Stati ha negoziato i confini nello stesso tempo e questi confini
sono stati stabiliti durante incontri che hanno avuto luogo in Europa tutti contemporaneamente.
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Masai |
In
Kenya ci sono tribù come i luhya con 16 lingue, alcuni non si capiscono tra di
loro, esistono come tribù perché hanno un’amministrazione comune. Pur nelle
diversità queste tribù erano unite dall’amministrazione, e l’unità delle tribù
era derivata dal fatto che ciascuna andava a negoziare la posizione come blocco
unico. E’ importante sottolineare che la costituzione è stata data al popolo africano 50 anni fa. Negli
ultimi 10 anni abbiamo visto un processo di discussione, di riscrittura della costituzione africana, ma ciò avviene
dopo 50 anni di guerre, di ricerca di disegnare i confini di ciascuna nazione
africana.
Ogni tribù concorre alle elezioni con un programma politico diverso?
La
risposta non è semplice, perché è un contesto in continuo movimento. Oggi la
politica gira intorno ai kikuyu. Sono il blocco di voto più grande ma non hanno
la maggioranza, quindi nessun gruppo ha la maggioranza assoluta. I kikuyu hanno
una classe sociale e una classe commerciale vasta e ben organizzata, hanno un
grande potere economico. Al momento dell’indipendenza i kikuyu hanno
controllato la presidenza, poi l’hanno persa, ora l’hanno di nuovo con Uhuru Kenyatta, figlio
del primo presidente Jomo Kenyatta.
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Uhuru Kenyatta |
I kikuyu, però, hanno anche perso molta
terra nell’epoca coloniale e, come conseguenza, si sono dispersi in una specie
di diaspora in Kenya, occupando altre terre. Si sono insediati nelle terre dei
colonizzatori- che erano state per lo più dei masai- le hanno coltivate con un
accordo per cui consegnavano parte del prodotto come tributo. Ma i britannici
non hanno gradito affatto l’intraprendenza dei kikuyu e hanno reclamato una
regolamentazione più ferrea per impedire ai kikuyu di produrre di più. I kikuyu
sono un’élite sociale e governativa per lo più conservatrice. Il loro pensiero
è reazionario, proteggono i loro interessi che non coincidono né con quelli
degli altri gruppi tribali né con la maggioranza popolare.
Quando venne data la
costituzione, conteneva anche la devoluzione di poteri distaccati dal governo
centrale. Implicava la devoluzione di risorse finanziarie, ma i presidenti al
potere hanno voluto ricentralizzare tutto. Ora la questione costituzionale
ruota intorno alla devoluzione.
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Kikuyu |
Nel libro si parla spesso dei paesi confinanti con il Kenya- Uganda,
Sudan, Sudafrica, Tanzania. Quali sono i rapporti del Kenya con gli stati
confinanti?
Per dieci anni dopo
l’indipendenza, il Kenya, l’Uganda e la Tanzania furono una federazione:
avevano una linea ferroviaria in comune, una compagnia aerea in comune, sistema
educativo in comune così come tutte le infrastrutture. Poi la Tanzania diventò
socialista, il Kenya capitalista e l’Uganda si diede alla guerra negli anni ‘70.
Io sono pan-africano, quello che si è visto negli ultimi anni di stabilità ha a
che fare con gli accordi: senza l’IGAD- la lega di alcuni stati africani- non
ci sarebbe pace né in Sudan né in Somalia. L’economia in crescita è dovuta a
questa stabilità. Gli stati africani hanno scoperto la cooperazione e che lo
sviluppo economico viene favorito dalle alleanze.
Lei ha scritto un saggio che ha avuto molta risonanza, “Come scrivere
dell’Africa”, intendendo come non si
dovrebbe scrivere dell’Africa. Agli occhi degli occidentali l’Africa è un paese
esotico. Ci sono molti scrittori bianchi che ambientano i loro romanzi in
Africa e la loro rappresentazione dell’Africa ha colori di certo più
vistosamente sgargianti. Dovrebbero evitare di usare lo sfondo africano?
No, no, gli scrittori bianchi dovrebbero
scrivere e sono liberissimi di scrivere. Ma NON scrivono dell’Africa. Quello
che è importante è che, se la letteratura comunica qualcosa, questa NON è una
comunicazione di culture, NON c’è MAI stata comunicazione tra Africa e Europa.
Sia chiaro che non vogliamo scuse, perché chiedere scusa significa perpetuare
questo rapporto tra Europa e Africa all’insegna dell’amore familiare. Io dico
all’Europa, ‘cresci e, quando sarai cresciuta, vieni e parliamo’. Non sono
risentito perché Nadine Gordimer e Doris Lessing hanno acquistato grande fama:
gli inglesi hanno capito che il mio saggio era un pezzo umoristico, non era un
brano per suscitare la reazione, ‘come dobbiamo scrivere?’.
Mi sono piaciuti molto, nel suo libro, i riferimenti alla musica e ad
altri scrittori africani, a Brenda Fassie e a Ngugi wa Thiong’o. Che cosa rende
la musica africana diversa dalla musica afro-americana?
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Brenda Fassie |
Negli anni ‘50 e ‘60
molta della musica africana fu influenzata da quella cubana e dal jazz. Poi,
attraverso la chiesa pentecostale, subì l’influenza del genere Gospel. Ma
arrivò anche l’influenza del blue grass e del country. I kikuyu fanno musica di
tipo americano. Ma adesso la musica dominante è quella della Nigeria. Negli
ultimni cinque anni si sono investiti molti soldi in Nigeria per produrre un
pop nigeriano. C’è un mercato di 150 milioni di persone- hanno investito in
musica originale, che viene ascoltata in tutta l’Africa.
Dice spesso, nel libro, di essere un lettore vorace: qual è il miglior
scrittore africano secondo Lei, quello di cui consiglierebbe la lettura, oltre
a Ngugi wa Thiong’o? E quali sono gli scrittori stranieri che più ama o ha
amato leggere?
Lo scrittore africano che
più mi ha influenzato negli ultimi cinque anni è Kojo Laing con “Search sweet
country”, a mio parere il romanzo africano più importante in assoluto. Tra le
mie letture preferite ricordo Bruno Schulz, Thomas Hardy, George Eliot, Sartre.
Ho amato Nadine Gordimer e mi piace molto Haruki Murakami. Ma non sei tu a
trovare i libri, sono i libri che trovano te.