Voci da mondi diversi. Asia
fresco di lettura
Yeng Pway Ngon, “L’atelier”
Ed. Metropoli d’Asia, trad.
Barbara Leonesi, pagg. 499, Euro 16,50
Singapore. Quella piccola repubblica con un’altissima concentrazione di
abitanti cosmopoliti che uno stretto di mare separa dalla Malesia e un altro
stretto dall’Indonesia. Un gruppo di cinesi alla fine degli anni ‘70. Li
incontriamo che sono giovani sui vent’anni e frequentano ‘l’atelier’, lo studio
di pittura del maestro Yan Pei. Ne seguiamo le storie, i successi e gli
insuccessi nel lavoro e in amore. Finché Yeng Pway Ngon, l’autore di questo
bellissimo romanzo, tira le fila, ci fa ri-incontrare i personaggi ‘sul viale
del tramonto’ in una saggia meditazione venata di malinconia: a che cosa li
hanno portati le loro scelte? Che conseguenze hanno avuto su chi era loro
vicino? Hanno dei rimpianti o sono soddisfatti? E, se venisse data loro
un’altra possibilità di vita, percorrerebbero lo stesso cammino? Sono le
domande che assillano chiunque fermi il ritmo della propria vita e abbia voglia
di esaminarsi dentro, di guardare il passato e tirare le somme, qualunque sia
la latitudine del paese in cui vive.
Come sempre avviene nei romanzi dall’ampio
respiro- e non possiamo fare a meno di pensare a quelli della letteratura russa-,
i personaggi ci vengono presentati tutti all’inizio (avrei consigliato una
pagina introduttiva con i loro nomi che per noi occidentali sono difficili da
ricordare, io li ho appuntati a matita, facilitando la lettura). Sono ragazzi e
ragazze e non tutti prendono lezioni di pittura per amore dell’arte. Uno di
loro, Sixian, va all’atelier perché è innamorato di Ningfang. La quale, ad un
certo punto, smette di frequentare per seguire in India un insegnante di musica
indiano. Eppure, per un qualche strano meccanismo, il dolore di Sixian (che non
amerà nessuna altra donna in vita sua) lo apre alla vera arte: diventerà famoso,
ci sarà una mostra dei suoi quadri perfino a Parigi. Mentre uno sbruffone poeta
aspirante pittore, che si sposa per interesse mirando a ricchezza e fama, verrà
riconosciuto alla fine per quello che è- un mediocre pittorucolo senza
originalità. Una delle ragazze trova nella pittura un modo per affermare la sua
personalità, schiacciata dal marito che non la ama e la tradisce. Il ragazzino
che aveva posato, vergognandosi, come modello, frequenterà l’università e
diventerà professore. Un altro ragazzo- e qui la Storia entra nel romanzo- si
unisce ai guerriglieri comunisti nella giungla: la sua è la vicenda più
insolita del romanzo. Perché Jianxiong non uscirà più dalla giungla, ignaro che
il partito comunista malese ha messo fine agli scontri. Quando- anziano e
malato- prova a rientrare nel mondo civile, è come Rip van Winkle: non
riconosce nulla di quello che vede, ha l’aspetto di un selvaggio e viene
respinto dai contadini che vivono al limitare della foresta. Anche se la sua
fidanzata ha continuato ad aspettarlo, dando perfino il suo nome ad un piccolo
ristorante.
Dell’atelier come luogo di incontro, da un certo punto in poi non si
parlerà più. Resta invece, come fulcro di tutte le storie, il personaggio del
maestro, bello, emblematico, triste. E’ l’uomo che ha dedicato tutta la vita
all’arte, l’opposto del poeta-pittore povero di spirito. Incurante del successo
economico, Yan Pei ha creduto nell’arte per l’arte. Abbandonato dalla moglie, ha
continuato ad aspettarla, ma è più fortunato della fidanzata del guerrigliero
Jianxiong: il maestro e sua moglie si ritroveranno, anche se troppo tardi.
Questa ombra di tristezza, di rimpianto per quello che poteva essere e non è
stato (come nel film “Quel che resta del giorno” tratto dal bellissimo libro di
Kazuo Ishiguro), tinge il finale di tutte- o quasi tutte- le storie.
Fu da quel momento che iniziò a ripensare a lui con nostalgia, a quel pittore frustrato e squattrinato che sembrava uscito da un vecchio film cantonese. Ricordò la sua rettitudine e la sua perseveranza, il suo amore cieco e la sua tenerezza, quel loro essere inseparabili dentro e fuori dal letto: avevano davvero vissuto momenti indimenticabili. Se fosse possibile tornare indietro nel tempo, forse avrebbe sopportato con lui le difficoltà senza lamentarsi del suo magro stipendio.
E, se il passare degli anni ha
cambiato i protagonisti, se devono scrutarsi per riconoscere la persona dei
loro ricordi, il tempo ha cambiato anche Singapore (grandioso personaggio sullo
sfondo) e chi vi ritorna dopo esserne stato lontano- come la moglie di Yang
Pei- fa fatica ad orizzontarsi. E tuttavia il tempo ha ringiovanito la città,
l’ha modernizzata, anche se a prezzo del fascino dell’antica originalità.
Un libro molto ‘ricco’ e molto
bello, degno dei premi prestigiosi che ha vinto in Asia.
la recensione è già stata pubblicata su www.stradanove.net
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