Casa Nostra. Qui Italia
Diego Alverà, “Solo. Walter Bonatti dal K2 al Dru”
Ed.
66thand2nd, pagg. 192, Euro 17,00
1954 e 1955. Due estati, due date, 31 luglio
e 21 agosto, due montagne, due bellissimi giganti- 8.611 metri il K2 e 3754 il
pinnacolo del Dru, un ago di roccia che perfora il cielo-, due imprese che
hanno segnato la vita di Walter Bonatti, giovanissimo all’epoca di queste
scalate (era nato a Bergamo nel 1930).
Walter Bonatti aveva affrontato la scalata del Dru, nella parte settentrionale del Monte Bianco, come una sorta di rivincita- su se stesso, prima di tutto- dopo l’esperienza per più di un verso traumatizzante dell’anno prima sul Karakorum. E il libro di Diego Alverà a lui dedicato inizia proprio da quella grande avventura che sarebbe diventata una frustrante avventura in cui Walter aveva sfiorato la morte ma di cui, per impegno preso, non poteva parlare. Bonatti è il protagonista ideale per Alverà il cui intento è raccontare “storie grandi e piccole strappandole all’oblio e restituendole al presente, affinché ci aiutino a riflettere, pensare e comprendere…Narro i percorsi e le traiettorie di chi ha infranto schemi, di chi ha creduto nella sua personale visione violando spesso convinzioni comuni…”. Ecco, Bonatti era proprio così, Bonatti infrangeva gli schemi, credeva nella sua visione, si sentiva ed era fuori posto fra gli altri scalatori. A lui non importava piantare una bandiera su una vetta, una montagna è di tutti, non ha senso rivendicarla, così come non ha senso usare l’espressione ‘conquistare’ una montagna. Per lui scalare era un’esigenza interiore, era un modo per mettersi alla prova, per superare se stesso. Certo, era pieno di orgoglio ed entusiasta quando era stato scelto per l’impresa del K2. Erano gli anni della rinascita dopo la guerra, la fine disastrosa della seconda spedizione di Nobile al Polo Nord con il dirigibile Italia era ancora presente nella memoria di tutti, ci voleva un’impresa per risollevare il nome dell’Italia macchiato dalle vicende belliche.
Walter Bonatti, più giovane degli altri
partecipanti, con il suo fisico robusto, con quel carattere schietto ed
entusiasta, era sottilmente invidiato da tutti. Leggerete nella ricostruzione
di Alverà quello che successe vicino alla cima del K2 che sarà raggiunta il 31
luglio da Achille Compagnoni e Lino Lacedelli. Qui importa ricordare la notte
all’addiaccio, a 50 gradi sotto zero, di Walter e di Amir Mahdi. Quest’ultimo
dovette subire degli interventi di amputazione per arti congelati, ma quello
che più ferì Bonatti fu la malafede dei due ‘conquistatori’ e del professore
Desio che guidava la spedizione. Eppure, con grande dignità, tacque, perché
questo era l’impegno preso prima della partenza- ci sarebbero voluti 54 anni
perché la verità fosse riconosciuta.
Quella notte in piedi su un gradino nella
roccia aveva insegnato molto a Walter Bonatti. A trovare la forza interiore per
indurire il suo corpo, per resistere, e poi, purtroppo (è il caso di dirlo), a
fidarsi solo di se stesso.
L’anno seguente Walter avrebbe affrontato da solo quel monte la cui bellezza toglieva il respiro, il Dru dalle pareti verticali a cui ogni appiglio pareva impossibile.
Alverà ha la capacità di farci arrampicare
con l’alpinista, ci rende partecipe dei momenti di dubbio (mai di paura, Walter
è sereno e lucido, altrimenti non potrebbe farcela) quando ogni via di ascesa
sembra preclusa, ci fa sentire il fragore del lastrone di roccia che precipita,
ci fa stringere i denti quando Walter si ferisce, esultare quando trova il modo
per avanzare là dove non si può piantare nessun chiodo, ci fa toccare il cielo
con lui.
Ha qualcosa dell’eroe, Walter Bonatti. Non
per quello che ha fatto, non per le cime che ha raggiunto, ma per lo spirito
con qui ha compiuto queste imprese, per la lezione di vita che ci ha impartito
che si riassume nelle parole rivolte al futuro scrittore che lo conobbe quando
era bambino: “Non è poi così importante
scalare. La cosa importante è vivere
fino in fondo le proprie passioni, qualsiasi esse siano. Perché la montagna più
alta e difficile è sempre quella che ci portiamo dentro”.
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