sabato 27 luglio 2024

Alaine Polcz, “Donna sul fronte” ed. 2024

                                                Voci da mondi diversi. Ungheria

                                          seconda guerra mondiale


Alaine Polcz, “Donna sul fronte”

Ed. Anfora, a cura di Mónika Szilágyi, trad. Antonio D’Auria, pagg. 224, Euro 17,10

 

    1944. Transilvania, allora ungherese- solo dopo la guerra sarebbe diventata rumena. Kolozsvár, oggi Cluj. Alaine ha diciannove anni, è innamorata, si sposa. Delusione immediata, anche se lei si impunta a pensare che sia grande amore, è così ingenua da credergli quando lui le dice che si è infettata in un bagno pubblico. Poi devono scappare. Il fronte russo-rumeno avanza.

    È con questa fuga che inizia la guerra personale di Alaine che la racconta in un romanzo in prima persona che è tante cose insieme- drammatico romanzo di formazione, diario in cui a tratti sembra che la voce narrante parli in una sorta di monologo interiore, libro di un frammento di Storia vissuta sulla propria pelle, storia d’amore e di disamore.

Cluj

    Fuggono, Alaine e János. Si riparano e dormono dove capita, in rifugi improbabili, in pagliai, nelle stalle, anche nel castello degli Esterházy per un breve periodo. Gli fanno compagnia altri disperati in fuga come loro, un cagnolino che tiene caldo ad Alaine quando se lo mette sui piedi o sul collo, la madre di János (una donna dolcissima, il contrario del figlio freddo e indifferente- perché l’ha sposata, si chiede Alaine che non smette di amarlo e di preoccuparsi per lui), i pidocchi. Sono tutti infestati dai pidocchi. Alaine ci scherza sopra- sorridiamo e amiamo più che mai questa ragazza che è capace di ridere facendo differenza tra pidocchio e pidocchio-, ma sono un tormento oltre che origine di malattie. Perché poi ci sono anche le malattie vere e proprie, le febbri e nessun medicinale. Gli spari e le bombe. Alaine si presta come infermiera, quando può, perché aveva seguito un tirocinio. Avrebbe voluto studiare medicina, ma il fidanzato si era opposto (dopo, dopo che tutto sarà finito, si iscriverà a psicologia, diventerà tanatologa, introdurrà gli Hospice in Ungheria e farà psicoterapia ai bambini con il metodo dei giocattoli).


    Il cuore dolente del libro, la ferita che doveva essere messa a nudo e fatta spurgare perché potesse guarire, è la terribile esperienza degli stupri subiti per lo più dai soldati dell’Armata Rossa. E ancora una volta non possiamo che ammirare ed amare la giovane Alaine per il modo in cui ne parla. Riesce, con una forza di spirito eccezionale, a distaccarsi dal sé che è stato violentato, offeso, umiliato, ridotto ad un oggetto preda di lussuria, e a descrivere quanto le è accaduto- una volta, due volte, cento, mille volte- come se fosse un osservatore esterno, come se non stesse accadendo a lei. Dopotutto non era lei, non era lei come donna, come essere umano, schiacciata a terra da quei bestioni. Doveva pensare che era il suo corpo e non lei, a lei non facevano niente. Solo così poteva sopravvivere. Nonostante questa forza interiore, Alaine sopravvisse, sì, ma aveva contratto malattie per cui non c’erano medicine adeguate alla fine della guerra. E iniziò il lungo calvario delle cure mediche e della lentissima parziale guarigione.


    Quello degli stupri di guerra non è un argomento nuovo e non ci stupisce. Si sapeva che, benché fossero proibiti, benché fosse prevista anche la fucilazione, erano da temere e da aspettare da parte dell’esercito vittorioso. Nel 1937-38 le atrocità commesse dai giapponesi in quella che allora era la capitale della Cina passarono alla Storia addirittura sotto il nome de ‘lo stupro di Nanchino’, identificando la violenza sulle donne con quella su un’intera città, così come ne “La ciociara” di Moravia lo stupro di Rosetta e della figlia ad opera dei soldati marocchini diventa il simbolo dello stupro di tutta l’Italia. Nel libro del lituano Šlepikas ”Il mio nome è Maryté”, si parla degli stupri dell’Armata Rossa (una delle donne protagoniste ne muore) e così pure nel diario anonimo (per volere dell’autrice) pubblicato da Einaudi nel 2004 con il titolo “Diario di una berlinese”.  Ricordo quanto fosse stata agghiacciante la lettura di questo diario, più ancora forse dello scritto autobiografico di Alaine. Quello che differenzia Alaine, quello che suscita la nostra ammirazione per lei, è la sua resilienza, la sua capacità di contestualizzare questa terribile esperienza, di riconoscere, accanto al comportamento bestiale, i lati buoni del carattere russo, la loro occasionale generosità, il loro amore per i bambini. E ci colpisce nel profondo la sua grandezza d’animo quando rinuncia ad accusare, dopo averlo riconosciuto, un singolo soldato russo per averla violentata. Uno per tanti- che senso aveva punire con la morte solo lui?

   “Donna sul fronte” è un libro importante, un libro da leggere per il suo duplice valore come documento storico e come testimonianza personale.


   

      

domenica 21 luglio 2024

Conn Iggulden, “E’ stato Nerone” ed. 2024

                      Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda

    romanzo storico

Conn Iggulden, “E’ stato Nerone”

Ed. Piemme, trad. Elena Cantoni, pagg. 399, Euro 22,00

 

   Non è Nerone, non ancora, il protagonista del romanzo di Conn Iggulden, come il titolo farebbe pensare. All’inizio del libro Nerone non è ancora nato e Agrippina, sua madre, chiede al marito Gneo Enobarbo, acclamato auriga, di andare a Roma, di non sfuggire a Seiano, prefetto di Roma e voce dell’imperatore Tiberio, altrimenti questi lo dichiarerà fuorilegge e si prenderà tutto quello che lui possiede, di pensare al bambino che lei porta in grembo.

   È il 37 d.C., un anziano Tiberio è imperatore. Ritorna a Roma dal suo rifugio di Capri- quello che lui faccia, a Capri, è argomento di chiacchiere e fonte di paura. Così come l’essere mandati prigionieri a Ponza, chi ritorna da Ponza è in condizioni terribili. Sono tempi feroci, con uomini feroci al potere. L’esecuzione di Seiano, strangolato e fatto rotolare dalle scale gemonie, ne è un esempio. A Tiberio (era ammalato ma la sua morte fu, per così dire, accelerata) succederà Gaio Cesare, meglio noto con il soprannome di Caligola, fratello di Agrippina. Gaio era stato una ‘mascotte’ dei soldati, quando suo padre Germanico lo portava tra le file dell’esercito con una divisa che era stata fatta su sua misura come le calzature da cui derivava il suo soprannome. Oggi si direbbe che Caligola era stato profondamente segnato dalla vita- e come poteva non esserlo, con il padre morto avvelenato, due fratelli fatti uccidere da Tiberio, lui stesso forzato ‘ospite’ dello zio a Capri dove condusse una vita dissoluta?- e che aveva problemi psicologici nonché un morboso attaccamento alla sorella. Il matrimonio con Claudilla lo aveva trasformato, Claudilla poteva essere la sua salvezza e, invece, la morte di questa e del bambino che non era riuscito a nascere lo fecero precipitare nella follia. Morto l’imperatore, viva l’imperatore. Chi più improbabile di Claudio, fratello di Germanico, uno studioso anziano e balbuziente, come imperatore? Le trame di Agrippina sono prevedibili.

Tiberio

    È Agrippina la vera protagonista di questo primo libro della storia di Nerone. La bellissima Agrippina andata sposa a Gneo Enobarbo a soli tredici anni, diventata madre a ventidue. Il bambino fu chiamato con il nome del padre del marito, Lucio Domizio Enobarbo. Soltanto alla fine viene anticipato che prenderà il nome di Nerone. Il piccolo Lucio sarà l’erede al titolo finché Messalina, la giovane sposa di Claudio, non metterà al mondo un maschietto, bruciando le speranze di Agrippina. Lei, però, non è una donna che si dà per vinta, ed è una donna che sa giocare bene le sue carte.

Agrippina

   Uno studioso di Storia rifugge dal genere del romanzo storico, eppure questo è un genere che avvicina la grande Storia ad un vasto pubblico di lettori perché fa rivivere il passato portando alla ribalta personaggi di cui tutti noi conosciamo il nome anche se forse abbiamo dimenticato il ruolo che hanno avuto, quali imprese hanno compiuto, di che cosa, nel bene e nel male, siamo loro debitori.

    Conn Iggulden, figlio di padre inglese e madre irlandese, è specializzato nei romanzi storici che coprono un ampio raggio (troppo ampio, forse?)- dalla serie su Gengis Khan alla guerra delle Rose, dal ciclo su Giulio Cesare alla serie ateniese. La sua notorietà e il suo successo sono giustificati. “E’ stato Nerone” è un esempio del suo stile. Il lettore viene trasportato subito a Roma, nel pieno di una disputa tra Agrippina e il marito in cui i caratteri dei due personaggi appaiono chiari, affinandosi poi nelle pagine seguenti. Lo stesso avviene per gli altri personaggi che affiancano questi- impossibile dimenticarli o confonderli, nonostante i nomi ricorrenti nella stessa famiglia possano creare qualche difficoltà.

Caligola

   Soprattutto è l’atmosfera del tempo che Iggulden ricrea per il lettore, la Roma del primo secolo d.C. in cui- per dirlo con parole di oggi- il terrore corre sul filo. Una voce fatta pervenire all’orecchio dell’imperatore, un sospetto, una manifesta ambizione possono provocare la morte. Il potere che viene esercitato è assoluto e arbitrario. La violenza e la ferocia sono all’ordine del giorno e i mezzi per uccidere qualcuno variano da armi bianche, mani nude, veleni a effetto immediato o protratto nel tempo.

   Una bella lettura per quelli a cui la storia piace ma temono la noia. Le ultime parole annunciano il prossimo libro: “Ti darei il nome di mio fratello, per rendergli onore. Se fossi tu a diventare imperatore, prenderesti il suo nome. Ti chiameresti Nerone.”








giovedì 11 luglio 2024

Cristina Cassar Scalia, “Il castagno dei cento cavalli” Ed. Einaudi, pagg.320, Euro 17,50 ed. 2024

                                                                     Casa Nostra. Qui Italia


        cento sfumature di giallo


Cristina Cassar Scalia, “Il castagno dei cento cavalli”

Ed. Einaudi, pagg.320, Euro 17,50

 

   C’era una vecchia storia dal sapore di leggenda, intorno al gigantesco castagno dei cento cavalli. Si raccontava di un esercito che aveva trovato riparo sotto i suoi rami, tanto era l’estensione di questi. Adesso due guardie forestali, chiamate per un incendio nella zona, avevano trovato il cadavere di una donna assassinata- era una scena così cruenta che una delle due guardie era svenuta.

    Un nuovo caso per Vanina Guarrasi, vicequestore a Catania, protagonista dei romanzi seriali di Cristina Cassar Scalia e ora anche di una serie televisiva.

La vittima aveva un soprannome, ‘la Boscaiola’, perché raccoglieva funghi che poi vendeva. Di lei si sapeva poco, aveva un amico che era stato uno scalatore e aveva fatto la guida alpina, come lei del resto. L’amico, o compagno- non era chiaro, ma, d’altra parte, a lui piacevano le donne e aveva successo con loro- era caduto dalle nuvole quando Vanina gli aveva chiesto se sapeva che il vero nome della Boscaiola non era quello con cui la conoscevano tutti. E però resta l’unico sospettato, finché un’altra donna, una casellante, viene uccisa con le stesse modalità e lui non può essere il colpevole, visto che è in stato di fermo.


Si scava ancora nel passato di entrambe le donne- non è una coincidenza sospetta che anche la seconda avesse cambiato nome?-, quello che viene fuori è sconcertante, tristissimo, drammatico, doloroso. E la morte sotto la quercia forse non è affatto casuale, così come ora diventa chiara la modalità della loro morte.

   Con il senso della misura che le è tipico, Cristina Cassar Scalia aggiunge altre tracce a quella principale del romanzo di indagine, inserendo altri tasselli nella vita dei protagonisti. Mentre prosegue, seppure con qualche difficoltà e con un’impennata di gelosia, la storia d’amore tra Vanina e Paolo Malfitano, magistrato di Palermo attivo nell’antimafia, finisce invece quella della sorella Costanza, fidanzatissima con un collega del padre medico. Quello che veniamo a sapere sui motivi della rottura è un’altra squallida storia di un tradimento perfino peggiore che se ci fosse stata una donna di mezzo. Quanto all’anziano ex commissario Patané, sempre felice di dare il suo apporto alle indagini, questa volta deve stupirsi perché la moglie non gli fa le solite scene di gelosia insana nei confronti di Vanina- che cosa le sta succedendo? È un segnale di allarme? E sboccia anche un nuovo amore per l’ispettore capo Spanò e chissà che riesca a dimenticare la ex moglie che ha già un nuovo legame.


    Sono eleganti e discreti, i gialli di Cristina Cassar Scalia. La trama de “Il castagno dei cento cavalli” tocca un argomento di particolare interesse per tutte le donne e la scrittrice riesce a intrecciare con equilibrio il giallo con il rosa, a farci assaporare le leccornie siciliane e a inframmezzare qualche parola dialettale che aggiunge un pizzico di colore alla narrazione.

    L’appuntamento estivo con Cristina Cassar Scalia e con Vanina Guarrasi non ci ha deluso. Una piacevolissima lettura.



domenica 7 luglio 2024

Jarka Kubsova, “La palude delle streghe” ed. 2024

 




Voci da mondi diversi. Area germanica


Jarka Kubsova, “La palude delle streghe”

Ed. Neri Pozza, trad. Chiara Ujka, pagg. 325, Euro 18,05

 

    Ochsenwerder, alla periferia di Amburgo, nella zona delle Marschlande (terre paludose) che è, infatti, il titolo originale del libro di Jarka Kubsova, scrittrice di lingua tedesca nata in Cecoslovacchia, a Pilsen.

    Britta Stoever. Giorni nostri.

    Abelke Bleken. 1570.

Due donne. Due tempi diversi. Due storie. Eppure, nonostante i secoli di distanza, nonostante le esperienze di vita differenti, c’è molto che accomuna Britta e Abelke, c’è un legame tutto femminile che la narrativa accentua nell’alternarsi di capitoli che si collegano come anelli di una catena- quello che segue si allaccia al precedente riprendendone il tema come fosse una sequenza musicale, la storia di una donna che si riversa in quella dell’altra.

    Sembrava un idillio, quando Britta, il marito e i due figli si sono trasferiti a vivere a Ochsenwerder, lasciando Amburgo. La casa grande (più tardi Britta verrà a sapere che la gente del posto la chiamava ‘la casa di ghiaccio’ perché era tutta di vetro e cemento) piaceva soprattutto al marito, ma la pace della natura, l’Elba che scorreva vicino, le gru sull’argine, gli spazi aperti- tutto questo riempiva il cuore, era come una rinascita. Eppure una certa qual insoddisfazione striscia in Britta- lei che aveva amato il suo lavoro di ricerca e che aveva dovuto abbandonarlo dopo che erano nati i figli, lei che aveva ripiegato su un altro lavoro che non la soddisfaceva affatto, si sente ora più che mai tagliata fuori da tutto. Il marito esce al mattino, rientra alla sera, scambiano a mala pena due parole, lui ha sempre cose più importanti a cui pensare. Lei esce per lunghe passeggiate nei dintorni e incomincia a chiedersi quali storie si nascondano dietro case abbandonate, perfino un poco sinistre. E’ così che si imbatte in un cartello che segnala una strada, con il nome di Abelke Bleken. Si incuriosisce, fa ricerche in internet, chiederà in giro.


    Abelke aveva fatto una fine terribile. Era bella, gestiva da sola, con l’aiuto di un paio di lavoranti, una grande fattoria dopo la morte del padre. Sognava un uomo che aveva conosciuto ad una festa di paese (era andato via con la promessa di tornare, non si era più rivisto), aveva un’amica (il marito di questa le impediva di vederla). Poteva una donna orgogliosamente indipendente non attirare la malevolenza degli invidiosi nel tempo in cui viveva? E noi siamo indotti a pensare che la attiri tuttora, una donna come lei.

Ma erano i tempi della ‘caccia alle streghe’ in cui demonizzare una donna significava gettare su di lei la colpa di tutto- morti accidentali, malattie, carestie, alluvioni. Quello che non poteva essere spiegato razionalmente era attribuito ai sortilegi operati da chi se non da una donna, dalla peccatrice Eva che era stata la causa della cacciata dal Paradiso terrestre?

     Abelke aveva previsto la bufera e la conseguente alluvione, aveva avvisato i paesani che mettessero in salvo il raccolto, le bestie e loro stessi. Nessuno le aveva creduto. Quando poi la natura si era scatenata, quando l’argine aveva ceduto, tutto quello che era successo dopo era la soluzione per sbarazzarsi di un personaggio scomodo, per impadronirsi di una fattoria che faceva gola a molti. Il ‘come’ è storia risaputa, ne abbiamo letto in molti libri, da “Il crogiuolo” di Arthur Miller a “La chimera” di Sebastiano Vassalli.


    In parallelo alla storia di Abelke scorre quella di Britta e, in chiave minore, quella della figlia adolescente. Sono storie diverse che parlano, però, di maschilismo, di prevaricazione, dei rischi maggiori che corrono le donne a qualunque età, delle responsabilità- anche quelle maggiori- che le donne devono assumersi in una famiglia.

    Ispirato ad una vicenda reale, “La palude delle streghe” ‘strega’ la nostra attenzione con una narrativa fatta di uno sguardo poetico e insieme realista, calandoci in situazioni in cui ci immedesimiamo al di là delle barriere di tempo. È questo che ci colpisce, come tutto sia cambiato restando fondamentalmente uguale.



 

mercoledì 3 luglio 2024

Abigail Assor, “Ricco quanto il re” ed.2024

                                              Voci da mondi diversi- Marocco


                 love story

Abigail Assor, “Ricco quanto il re”

Ed. Marsilio, trad. Annalisa Romani, pagg. 192, Euro 17,00

 

   Potrebbe essere una storia banale. Anzi, è una storia banale raccontata in maniera brillante e ambientata in un luogo del nostro immaginario- Casablanca.

   È una variante della storia di Cenerentola (nessuna fine felice, però), o della Bella e la Bestia (nessuna trasformazione finale della Bestia nel bel principe) con qualcosa anche di “Pretty Woman” (citato anche nel libro).

Sarah, sedici anni, è bellissima. La madre è francese, ma, come capiremo presto, il vantaggio e il prestigio dell’essere francese è del tutto annullato dal fatto di portarsi degli uomini a casa per sopravvivere. Del padre Sarah sa solo che era un militare dalla pelle scura come la sua, bello come Marlon Brando.

Hay Mohammed

    Sarah non è solo bella, è perspicace e furba, ha capito presto come gira il mondo, come ci siano due categorie di persone, i ricchi e i poveri, due zone della città, Anfa Superior e Hay Mohammed- là i giardini curati, le ville e le piscine, le auto di gran lusso, qui le baracche e l’immondizia. E Sarah sa che cosa vuole. Lei vuole entrare nei club esclusivi, vuole vestiti nuovi e non riadattati, vuole l’auto e l’autista. E la villa naturalmente. Vuole un uomo ricco che le dia tutto questo. Quando le indicano Driss, dicendole che è ricco quanto il re, lei decide che lo conquisterà e si farà sposare. Non importa se Driss è piccolo e tozzo, se ha il naso adunco e una brutta pelle, se non parla mai con nessuno. Driss ha una moto e- lei non lo sa ancora- è uno dei Fassi (le famiglie i cui antenati vengono dalla città santa di Fès) che assolutamente non ammettono legami con chi sta più in basso di loro.

   Sarah elabora una strategia, tutto sommato non ci vuole molto per far innamorare Driss, facendolo sentire ‘il prescelto’. Sei mesi di regali, sei mesi in cui Sarah mangia nei migliori ristoranti, in cui Driss le porta a casa i dolci migliori durante il Ramadan. Perché Driss è brutto ma è buono, non storce il naso vedendo dove abita Sarah, crede veramente che lei lo ami e lui la ama di ricambio. Sarah, vuole di più. Vuole una cerimonia e diamanti al dito. Possibile che ci riesca?


    Se la storia d’amore della piccola Pretty Woman con il suo brutto principe ricco quanto il re può non essere originale, quello che la rende unica è l’ambientazione. Perché Casablanca è la protagonista assoluta del romanzo della giovanissima Abigail Assor, lei stessa di Casablanca. Una Casablanca che non è più quella dell’iconico film con Humphrey Bogart e Ingrid Bergman, così come l’amore tra Sarah e Driss è ben lontano dall’essere quello di Rick per Ilsa. Questa è una città in cui la distanza tra ricchi e poveri è incolmabile, in cui i ricchi possono permettersi qualunque comportamento, possono offendere pesantemente i meno abbienti, possono sedurre le donne che hanno illuso e poi abbandonare loro e i loro marmocchi nelle baraccopoli. A Casablanca l’apparenza è tutto, la droga circola, le donne musulmane devono osservare strettamente la morale, sia per quello che riguarda il comportamento sia per l’abbigliamento- se Sarah non fosse francese, ci penserebbe la polizia a farle osservare le leggi, se Driss non allungasse dei soldi al poliziotto che li ha sorpresi a baciarsi, verrebbero arrestati-, una donna non accompagnata non può entrare in un locale, le norme sul Ramadam sono severissime, l’Aid (la festa del sacrificio che ricorda quello di Abramo) è una ricorrenza che  riempie noi di disgusto, leggendone la descrizione nel romanzo. Eppure questa scena così cruenta, con i montoni che vengono sgozzati, ha un peso profondo nella cultura musulmana e nel contesto è un momento culmine di grande significato per la vicenda dei due innamorati.


 La Casablanca di Abigail Assor è una città che ci sorprende con i suoi forti contrasti, sconosciuta ai turisti che conoscono bene, invece, l’incanto dei suoi colori giocati su una tavolozza di bianchi e di azzurri e il fascino dei suoi tramonti sul mare. Non dimenticheremo né la città né l’adolescente che ha un legittimo desiderio- essere anche lei ricca come un re, anzi una regina, non sentirsi più immondizia tra le immondizie. E il libro di Abigail Assor è una protesta contro le ingiustizie di Casablanca e della cultura musulmana.