Voci da mondi diversi. Ungheria
Alaine Polcz, “Donna sul fronte”
Ed. Anfora, a cura di Mónika Szilágyi,
trad. Antonio D’Auria, pagg. 224, Euro 17,10
È con questa fuga che inizia la guerra
personale di Alaine che la racconta in un romanzo in prima persona che è tante
cose insieme- drammatico romanzo di formazione, diario in cui a tratti sembra
che la voce narrante parli in una sorta di monologo interiore, libro di un
frammento di Storia vissuta sulla propria pelle, storia d’amore e di disamore.Cluj
Fuggono, Alaine e János. Si riparano e dormono dove capita, in rifugi improbabili, in pagliai, nelle stalle, anche nel castello degli Esterházy per un breve periodo. Gli fanno compagnia altri disperati in fuga come loro, un cagnolino che tiene caldo ad Alaine quando se lo mette sui piedi o sul collo, la madre di János (una donna dolcissima, il contrario del figlio freddo e indifferente- perché l’ha sposata, si chiede Alaine che non smette di amarlo e di preoccuparsi per lui), i pidocchi. Sono tutti infestati dai pidocchi. Alaine ci scherza sopra- sorridiamo e amiamo più che mai questa ragazza che è capace di ridere facendo differenza tra pidocchio e pidocchio-, ma sono un tormento oltre che origine di malattie. Perché poi ci sono anche le malattie vere e proprie, le febbri e nessun medicinale. Gli spari e le bombe. Alaine si presta come infermiera, quando può, perché aveva seguito un tirocinio. Avrebbe voluto studiare medicina, ma il fidanzato si era opposto (dopo, dopo che tutto sarà finito, si iscriverà a psicologia, diventerà tanatologa, introdurrà gli Hospice in Ungheria e farà psicoterapia ai bambini con il metodo dei giocattoli).
Il cuore dolente del libro, la ferita che doveva essere messa a nudo e fatta spurgare perché potesse guarire, è la terribile esperienza degli stupri subiti per lo più dai soldati dell’Armata Rossa. E ancora una volta non possiamo che ammirare ed amare la giovane Alaine per il modo in cui ne parla. Riesce, con una forza di spirito eccezionale, a distaccarsi dal sé che è stato violentato, offeso, umiliato, ridotto ad un oggetto preda di lussuria, e a descrivere quanto le è accaduto- una volta, due volte, cento, mille volte- come se fosse un osservatore esterno, come se non stesse accadendo a lei. Dopotutto non era lei, non era lei come donna, come essere umano, schiacciata a terra da quei bestioni. Doveva pensare che era il suo corpo e non lei, a lei non facevano niente. Solo così poteva sopravvivere. Nonostante questa forza interiore, Alaine sopravvisse, sì, ma aveva contratto malattie per cui non c’erano medicine adeguate alla fine della guerra. E iniziò il lungo calvario delle cure mediche e della lentissima parziale guarigione.
Quello degli stupri di guerra non è un
argomento nuovo e non ci stupisce. Si sapeva che, benché fossero proibiti,
benché fosse prevista anche la fucilazione, erano da temere e da aspettare da
parte dell’esercito vittorioso. Nel 1937-38 le atrocità commesse dai giapponesi
in quella che allora era la capitale della Cina passarono alla Storia
addirittura sotto il nome de ‘lo stupro di Nanchino’, identificando la violenza
sulle donne con quella su un’intera città, così come ne “La ciociara” di
Moravia lo stupro di Rosetta e della figlia ad opera dei soldati marocchini
diventa il simbolo dello stupro di tutta l’Italia. Nel libro del lituano Šlepikas
”Il mio nome è Maryté”, si parla degli stupri dell’Armata Rossa (una delle
donne protagoniste ne muore) e così pure nel diario anonimo (per volere
dell’autrice) pubblicato da Einaudi nel 2004 con il titolo “Diario di una
berlinese”. Ricordo quanto fosse stata
agghiacciante la lettura di questo diario, più ancora forse dello scritto
autobiografico di Alaine. Quello che differenzia Alaine, quello che suscita la
nostra ammirazione per lei, è la sua resilienza, la sua capacità di
contestualizzare questa terribile esperienza, di riconoscere, accanto al
comportamento bestiale, i lati buoni del carattere russo, la loro occasionale
generosità, il loro amore per i bambini. E ci colpisce nel profondo la sua
grandezza d’animo quando rinuncia ad accusare, dopo averlo riconosciuto, un
singolo soldato russo per averla violentata. Uno per tanti- che senso aveva
punire con la morte solo lui?
“Donna sul fronte” è un libro importante, un libro da leggere per il suo duplice valore come documento storico e come testimonianza personale.