Voci da mondi diversi. Giappone
Aki Shimazaki, “Suisen”
Ed.
Feltrinelli, trad. Cinzia Poli, pagg. 165, Euro 13,00
Ricordiamo
bene Goro Kida, personaggio marginale del primo libro della pentalogia di Aki
Shimazaki, ognuno con un fiore nel titolo. Il primo era “Azami” (il fiore del cardo),
il secondo “Hozuki” (l’alchecengi) e questo terzo “Suisen”, il narciso. In
“Azami” Goro era il vecchio compagno di scuola del protagonista Mitsuo, l’uomo
un po’ tronfio e sbruffone, orgoglioso della sua posizione sociale come
presidente di una famosa azienda produttrice di whisky, che aveva portato
Mitsuo nel locale dove Mitsuke, che aveva frequentato la loro stessa scuola,
lavorava come entraineuse.
In “Suisen” Goro Kida ha il ruolo principale. Per noi occidentali l’allusione del fiore che dà il titolo al romanzo è chiara fin dall’inizio- il mito di Narciso innamorato di se stesso che cade nello stagno cercando di baciare il proprio riflesso. Nel romanzo il narciso è un leit motiv che si rincorre- era disegnato su una cravatta che uno dei suoi primi amori aveva regalato a Goro e che lui aveva disdegnato (sia la cravatta sia la ragazza a cui non aveva avuto il coraggio di dire che si sposava il giorno dopo aver ricevuto quel regalo), illumina di giallo una scena del film in cui la prima attrice è l’amante numero uno di Goro. Perché c’è anche un’amante numero 2. E la moglie, naturalmente.
È un uomo pieno di sé, Goro. E anche molto
sicuro di sé. Quando, all’inizio, va con la figlia universitaria alla
proiezione del film di cui tutti parlano, non ha il minimo dubbio che
l’attrice/amante sarà felice di farsi fotografare accanto a lui (non gli deve
forse tanto?) e passerà la notte con lui. E invece resta deluso. E gli ci vorrà
un po’ per capire che lei non ne vuole sapere più di lui, lei dovrà dargli il benservito
in faccia E alla presenza dell’uomo che sposerà.
È il primo smacco per Goro. Il primo sasso di una valanga che finirà per travolgerlo. Sembra quasi una congiura contro di lui- l’amante numero uno, poi l’amante numero due, la moglie (aveva mai saputo che la moglie era in terapia da uno psicologo a causa sua e dei suoi tradimenti?), il figlio che pare voglia fargli un dispetto rifiutando di iscriversi ad una facoltà di commercio che lo prepari a dirigere la loro azienda, il suo titolo di Shacho (presidente di un’azienda) a cui non avrà più diritto.
Ma Goro non è uno stupido. Pur tramortito e
incredulo per quello che gli sta succedendo, Goro pensa e ricorda. Si mette in
macchina e fa un breve viaggio, e questa volta il viaggio è un percorso simbolico
alla scoperta di sé, l’occasione per rielaborare i traumi della sua infanzia-
la sua prima ragazza, quella che studiava psicologia e gli aveva regalato la
cravatta con il narciso (che rispunta fuori a proposito da un cassetto della
sua matrigna), gli aveva detto che era un bambino ferito e che non riusciva a
diventare un adulto per questo.
Piccoli, piccolissimi cambiamenti si
succedono in Goro. E no, non finirà annegato in uno stagno come Narciso.
Con il suo stile minimalista, con il tocco
di un pennello giapponese a punta fine, Aki Shimazaki traccia il ritratto di un
uomo che ci era risultato dapprima antipatico, e lo fa con grande umanità,
senza mai giudicarlo. Facendo cambiare l’idea che ci eravamo fatta di lui.
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