Voci da mondi diversi. Area germanica
Ed.
Neri Pozza, trad. Susanne Kolb, pagg. 205, Euro 18,00
Entrai nell’ultima sala dell’Art Gallery ed eccolo lì; mi commosse proprio come allora,
quando, mettendo piede nel salotto di casa Grundlach, l’avevo visto per la
prima volta.
A Sidney, in Australia, l’avvocato che ormai ha superato la sessantina e che, quando aveva iniziato da poco a lavorare in uno studio legale di Francoforte, si era occupato di una lite tra il proprietario di quel quadro e il pittore che lo aveva dipinto, riconosce immediatamente il quadro esposto. Ritrae una donna nuda, pallida e bionda, che scende le scale. Bernhard Schlink ha detto di avere avuto in mente il quadro di Gerhard Richter, Ema. Nudo su una scala, e, guardandone la riproduzione, noi lettori serbiamo per tutto il libro l’immagine evanescente di questa donna che sembra andare incontro rassegnata al suo destino, piuttosto che ad un incontro d’amore.
La donna si chiamava Irene. Il pittore
Schwind, a cui il marito aveva commissionato il ritratto, l’aveva ‘rubata’ a
lui. Irene si era trovata ad essere trattata come un oggetto, contesa tra i due
uomini che, alla fine, avevano raggiunto un accordo indegno, stipulato
dall’avvocato che è l’io narrante. Avrebbero fatto uno scambio: Irene sarebbe
stata restituita a Grundlach e questi avrebbe ridato il quadro al pittore. A
questo punto entrava in gioco il terzo uomo. Innamorato di lei, l’avvocato si
era prestato a trafugare il quadro insieme ad Irene. Dopodiché sia la donna sia
il quadro erano scomparsi. Per riapparire, il quadro, a Sydney.
Una donna amata da tre uomini- era stata un
trofeo giovane per Gundlach, un’ispirazione per Schwind, una principessa in
pericolo per l’avvocato. Ma lei, chi era lei? e che ne era stato di lei? se il
quadro era riapparso a Sydney, dove era Irene?
Irene aveva usato il quadro come esca, per
riunire accanto a sé l’ex marito e il pittore. Quanto all’avvocato, non lo
aveva calcolato, era capitato per caso anche se sarà lui a starle vicino fino
alla fine. Grundlach arriva in elicottero sull’isola dove vive Irene da anni,
Schwind ci arriva con una barca, l’avvocato narrante è arrivato per primo.
Pensava di fermarsi un giorno, si sarebbe fermato per due settimane.
E sono due settimane intense, di ricordi e di ricostruzioni dei fatti, di accuse e di schermaglie, di una resa dei conti, di un riesame della vita di ognuno, perché il tempo è passato per tutti in maniera più o meno impietosa, la fine si avvicina per tutti.
Dei quattro personaggi, Irene, dai contorni sfumati nel quadro e nella vita reale perché non dice niente di definito su di sé, continua ad essere, però, un’ispirazione. Accettata o rifiutata, lo è per tutti. Era fuggita da tutti e tre perché non voleva essere di nessuno, perché voleva una vita in cui ‘qualcosa di grandioso si impossessasse di me, qualcosa per cui avrei dato tutto’, voleva impegnarsi in una grande causa, essere là dove si svolgeva la Storia più intensa. E la Germania dell’Est le aveva offerto la possibilità di vivere una grande idea. Perché non era rimasta là? Perché dal 1990 quel ‘là’ non esisteva più.
E l’avvocato, il cavaliere che avrebbe voluto
salvarla, l’uomo che non aveva mai vissuto con lei, è quello che ora resta fino
alla fine, quando un incendio brucia l’isola e brucia anche il passato con
tutti i suoi ricordi e i suoi errori. Lui, però, ha avuto l’onestà di indagare
in se stesso, di farsi domande che non ha mai fatto, di riconoscere le sue
colpe.
È un libro che ha la malinconia del
tramonto, “Donna sulle scale”, che rincorre temi ricorrenti nell’opera di
Schlink- la menzogna e il silenzio che è una forma meno plateale di bugia,
accettare i compromessi e adeguarsi al comportamento e alle ambizioni dei più,
il coraggio necessario per uscire dagli schemi. E per affrontare la morte.
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