Voci da mondi diversi. Corea
love story
Gong Ji-Young, “Our happy time” (fuori stampa nell’edizione italiana)
Ed.
Short Books, pagg. 273, Euro 3,99 (ed. kindle)
Un titolo insolito per un libro in cui
uno dei due protagonisti è rinchiuso in una cella nel braccio della morte, in
attesa dell’esecuzione. Il significato di quella ‘felicità’ si chiarirà a poco
a poco, per quanto incredibile e difficile da accettare per chi legge.
Yujeong, sulla trentina, appartiene ad una
famiglia ricca di Seoul, ha tre fratelli più grandi, una madre che non
desiderava un quarto figlio e con cui lei è in perenne conflitto. In passato
Yujeong ha avuto una breve fama come cantante, ha studiato in Francia dove ha
preso una laurea ‘facile’, di quelle che i soldi possono comprare. Di notte
passa da un bar all’altro. Ha cercato di suicidarsi tre volte. Forse non voleva
veramente morire, visto che non ci è mai riuscita?
Yunsu è un criminale, ha stuprato una
ragazzina e ha ucciso una donna per derubarla. Aveva dei precedenti penali
prima di finire nel braccio della morte. Nessuno può salvarlo di certo dalla
morte.
La ragazza dissoluta che cerca la morte e il giovane condannato a morte si incontrano tramite una suora, zia di Yujeong, il terzo personaggio importante del romanzo. Suor Monica è una donna generosa dalla religiosità né di facciata né convenzionale, anche se a tratti ci sembra stucchevole. È lei che propone a Yujeong, se proprio non vuole andare in terapia, di accompagnarla nella sua visita settimanale in carcere. E Yujeong, dapprima riottosa, acconsente.
La narrativa è duplice e affidata a due voci- molto più lunga e dettagliata quella di Yujeong, più breve quella delle pagine del taccuino di Yunsu. La vita della tipica ragazza viziata e piena di soldi, con qualcuno sempre pronto a tirarla fuori dai guai e ad offrirle soluzioni alternative e quella di un ragazzo cresciuto in miseria estrema con un padre ubriacone e violento, una madre che se ne era andata di casa, un fratellino diventato cieco a causa di un pesticida che il padre sciagurato gli aveva fatto bere. Casa di lusso e viaggi all’estero per Yujeong, orfanotrofi e la strada per Yunsu e il fratello. Yujeong ha cercato ripetutamente di suicidarsi perché non ha mai superato il trauma di qualcosa che le è successo quando aveva quindici anni- l’omertà famigliare era quella che lei non riusciva a perdonare. Yunsu attende di morire, senza sapere quando, perché i crimini peggiori sono venuti dopo una serie di furti e violenze- quali altre possibilità avrebbe avuto in una società indifferente? Il fratello psichiatra di Yujeong spiega, in maniera alquanto didattica, come a violenza risponda violenza, come da un ambiente degradato non possa venire fuori altro che un criminale. Come si spiega, però, la violenza, occultata, taciuta per connivenza e per comodo, che si esercita in altre sfere? È l’ipocrisia il peggior peccato?
L’andamento della trama è prevedibile.
Giovedì dopo giovedì, i due protagonisti cambiano nel loro atteggiamento. L’una
si abbassa, per così dire. L’altro si innalza. Si amplia il loro campo di
comprensione. Cadono i pregiudizi dell’uno e dell’altra. Nasce un sentimento-
di amore?- facilmente comprensibile. Si apre per ognuno di loro la nuova
dimensione del perdono. E intanto entrambe le verità delle loro vite vengono
svelate.
Il significato del romanzo è chiaro, perfin troppo chiaro. Gli esseri umani non sono o bianchi o neri. Non esiste persona interamente buona o interamente cattiva. Perfino la colpa può non essere assoluta, così come il vero e il falso sono elusivi, separati da un esile tratto di confine. Per questo il messaggio contro la pena di morte è fortissimo e il libro ha ricevuto un premio speciale da Amnesty International.
“Our happy time” non è un romanzo del tutto
convincente, a volte ci irrita il tono quasi misticheggiante e la
melodrammaticità della situazione. La lettura è però scorrevole, con il
personaggio maschile più attraente di quello femminile- fino alla fine
preghiamo anche noi, con Yujeong, che qualcosa cambi, che l’esecuzione venga
sospesa.
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