Casa Nostra. Qui Italia
premio Strega
Sandro Veronesi, “Il colibrì”
Ed. La Nave di Teseo, pagg. 368, Euro
20,00
Sua madre gli aveva dato il soprannome affettuoso di “colibrì”, quando Marco
era palesemente più basso di statura dei suoi coetanei. Perché il colibrì è
l’uccello più piccolo che esista, può essere lungo anche solo sei centimetri.
Eppure i Maya lo veneravano come rappresentazione in terra del dio sole, era la
reincarnazione dei guerrieri valorosi caduti in battaglia. Sua madre non poteva
sapere quanto questo soprannome lo avrebbe identificato con l’immagine
dell’uccellino dal piumaggio stupendamente colorato, quanto questo avrebbe
corrisposto alla personalità di Marco. Che nel frattempo era cresciuto, dopo la
cura ormonale fortemente voluta dal padre e osteggiata dalla madre. Aveva
raggiunto e superato di un centimetro la media dell’altezza dei ragazzi
italiani. Marco Carrera sarà un guerriero per tutta la vita, sarà un guerriero
per cui neppure la sua propria morte sarà una sconfitta, sarà un Giobbe che,
senza attribuirli a Dio, riuscirà a fronteggiare i colpi del destino.
Barcollerà ma resterà saldo, come il colibrì che riesce a mantenersi fermo in
volo grazie alla frequenza del battito delle ali.
Il romanzo è la storia della
vita di Marco Carrera, una vita comune fatta di felicità e infelicità come
quella di tutti, di perdite e di conquiste, di tante morti drammatiche, questo
sì, più di quante sia giusto aspettarsene. E’ lui, Marco Carrera, a rendere “unica”
questa sua vita comune. E’ la sua maniera eroica da eroe del quotidiano di
affrontare difficoltà e tragedie, a rendere lui straordinario e la sua
esistenza diversa.
In medias res-
Sandro Veronesi inizia il suo romanzo dalla metà, con la visita di quello che sembra
un ometto qualunque e invece è lo psicanalista che ha in cura la moglie di
Marco, un personaggio singolare, l’opposto di Mefistofele che, però, come
Mefistofele, ha la capacità di apparire a fianco di Marco nei momenti in cui
questo ha bisogno del suo aiuto. L’apparire dell’ometto annuncia la fine del
matrimonio di Marco. Sembrava un matrimonio felice, quello di Marco e Marina,
ma era destinato a finire male fin dall’inizio, basato com’era su un castello
di menzogne.
L’ordine temporale non è lineare nella narrazione e non c’è un solo
stile narrativo- sono questi due motivi del fascino del romanzo.
Ci sono lettere scambiare tra Marco e
Luisa, il suo amore di sempre, amore corrisposto, non consumato, consumato, a
distanza, con brevi vacanze insieme. Sono lettere vere e proprie scritte su
carta, con un indirizzo di fermoposta, come si usava una volta. Ci sono lettere
di posta elettronica, quelle che Marco invia al fratello che si è trasferito in
America, estraniato dall’amore per la stessa donna, segnato- anche lui- dalla
tragica morte per suicidio della sorella Irene. Elenchi e valutazioni dei pezzi
di arredamento della casa dei genitori che deve essere venduta dopo la loro
morte, della collezione dei libri Urania del padre, dell’archivio fotografico
della madre: le cose parlano, tengono in vita i moti, ci dicono di loro, dei
loro gusti più o meno segreti. Sono elenchi che ci emozionano con la loro voce
che arriva dal passato, come le rievocazioni di Umberto Eco ne “La misteriosa
fiamma della regina Loana”.
C’è la narrativa in terza persona e
sempre lui presente, Marco Carrera, oftalmologo, che non è un eroe perfetto
(per fortuna), che gioca d’azzardo ma che ci lascia senza parole con quella
decisione così “superumana” di rinunciare alla vincita, la notte che avrebbe
dovuto segnare la sua rovina. Marco Carrera che non vedremo mai completamente
felice con una donna a fianco, ma che sa ritagliarsi la felicità dedicandosi
interamente, con intelligenza e generosità, a far crescere prima sua figlia e
poi, dopo un'altra drammatica morte, la nipotina Miraijin, la bimba con un nome
che significa “l’Uomo del Futuro”, la speranza per l’umanità proiettata nel
2030.
Non c’è un credo religioso nella storia del nuovo Giobbe (straziante la
morte in contemporanea dei genitori, straziante ed eroico il ruolo di Marco in
risposta alla supplica del padre, “portami via”) e tuttavia si usa per due
volte una parola ebraica per indicare due condizioni inesprimibili in italiano.
Solo l’ebraico (e altre lingue arabe) ha una parola per indicare la condizione
che è contro l’ordine della natura, quella del genitore che resta orfano del
figlio- shakul. Marco non è solo shakul ma è pure uno tzaddik,
un uomo giusto che si comporta con rettitudine, che è un grande anche nel
momento in cui muore.
“Il colibrì” ha vinto il premio Strega 2020. Giustamente. Perché è un
libro molto bello. Per il suo personaggio, per il ricco stile narrativo, per la
miniera di riferimenti letterari e al mondo della cultura (splendido il breve
inserto sul ‘dio del manga’, Osamu Tezuka), per la misura pacata con cui è
scritto.
Leggere a Lume di Candela è anche una pagina Facebook
la recensione sarà pubblicata su www.stradanove.it
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