Voci da mondi diversi. Area germanica
Jan-Philipp Sendker, “La memoria del cuore”
Ed. Neri Pozza, trad. R. Scarabelli e
M. Paterlini, pagg. 288, Formato Kindle Euro 9,99
Conclude la trilogia iniziata con “L’arte di ascoltare i battiti del
cuore”, il nuovo romanzo dello scrittore tedesco Jan Philipp Sendker. Anche il
titolo di questo, “La memoria del cuore”, contiene la parola ‘cuore’- è
l’indizio del filo conduttore di tutti e tre i romanzi, è un sottolineare una
conoscenza e un sentire diverso di Oriente e Occidente.
Kalaw, Birmania settentrionale, o meglio, Myanmar. L’ormai anziano U Ba
(il fratello ritrovato di Julia Win, avvocatessa americana) vive a Kalaw prendendosi
cura del nipotino Bo Bo, un ragazzo precoce e intelligente che parla in inglese
meglio del suo insegnante e che ha il viso segnato da una lunga cicatrice che
va dalla bocca all’orecchio. Bo Bo non ricorda nulla della sua prima infanzia,
ogni tanto ha una sbiadita memoria di una fuga da un monastero in fiamme, ma
non sa perché viva con lo zio, perché suo padre venga a trovarlo solo una volta
all’anno e nel periodo in cui lo zio va a Yangon. Soprattutto non sa se la
madre sia ammalata, perché sia circondata da un alone di mistero, perché lui
non possa mai parlarle, neppure per telefono. Non sa come si sia procurato la
ferita sulla guancia che, inspiegabilmente, inizia a fargli molto male.
Sarà U Ba a raccontargli la storia del grande amore tra Julia e Thar
Thar, il singolare monaco che aveva formato una famiglia raccogliendo una
dozzina di bambini menomati e non voluti dai genitori. È una storia che
incomincia in Myanmar, prosegue a New York dove Julia vuole andare a far
nascere il suo bambino, continua di nuovo in un Myanmar lacerato dalla guerra
civile e sembra ora, al termine del romanzo, aver finalmente raggiunto una
serena conclusione.
“La memoria del cuore” è una fine un poco ‘stanca’ della trilogia. La trama
poggia su tre temi della storia di Thar Thar e Julia- sono molto interessanti,
ma avrebbero meritato un approfondimento. La filosofia di vita di Thar Thar è
lontana da quella di Julia, avvocato in carriera che crede di poter rinunciare
a tutto per amore, e poi non ci riesce. Le difficoltà che, nonostante l’entusiasmo,
Julia incontra nella vita quotidiana nel monastero, dove non c’è né una stanza
da bagno né l’acqua corrente (superflue, secondo Thar Thar), sono grandi quanto
quelle che Thar Thar incontra a New York. Anzi, più ancora di Julia, Thar Thar
deve affrontare la diffidenza e il leggero disprezzo (vogliamo chiamarlo il razzismo?)
dei conoscenti di Julia, addirittura la presunzione di chi pensa di sapere
tutto sul suo paese. Lo sconcerto di Julia davanti alla mancanza delle comodità
moderne a Hsipaw è meno grande di quello di Thar Thar che non capisce come si
possa vivere in una società dove regna l’anonimato, l’indifferenza, il rumore,
la mancanza di interiorità. È l’eterno scontro tra Oriente e Occidente- only connect, scriveva E.M.Forster.
Riuscirà l’amore a collegare Oriente e Occidente? Il prezzo da pagare è alto, e
lo pagano tutti e tre, lui, lei e il loro bambino, vittima innocente.
Anche la traccia della guerra civile
(Thar Thar lascia Julia a New York per vivere in prima persona un momento così
importante per il suo paese) è sfumata per il lettore come lo è per Julia a cui
le notizie arrivano scarse e filtrate- ma ci sarebbe piaciuto saperne di più,
come pure della crisi nervosa di Julia, abbozzata e non approfondita.
In compenso la bellezza della ‘Golden Land’, come è chiamato il Myanmar,
balza fuori da ogni pagina del libro. Un incanto.
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