Voci da mondi diversi. Area germanica
Diaspora ebraica
Storia di famiglia
Maxim Biller, “Sei valigie”
Ed. Sellerio, trad. G. Agabio, pagg.
161, Euro15,00
Che cosa contengono le sei valigie del titolo del romanzo autobiografico
di Maxim Biller, nato a Praga nel 1960 da genitori russi ebrei ed emigrato con
loro in Germania nel 1970? Sono le sei valigie della famiglia Biller composta
dal nonno (il tate in Yiddish), la
nonna e i quattro figli, gli ebrei
erranti? O sono le valigie che contengono i segreti dei sei capitoli in cui si
divide il libro?
Perché questo è un romanzo che ruota
intorno ad un segreto, alla domanda per cui l’io narrante (che non è affatto il
personaggio principale) cerca una risposta: chi è responsabile della morte del tate, arrestato all’aeroporto di Mosca
per contrabbando di valuta e giustiziato poco dopo? Chi lo aveva tradito? Uno
dei quattro figli? Forse Dima che, all’inizio del romanzo, torna a casa
rilasciato dopo cinque anni di prigione perché si era fatto beccare anche lui
con valuta straniera e pronto ad emigrare in Germania? Oppure era stato Lev, il
primo dei fratelli a fuggire a Ovest con 40.000 dollari che il tate gli aveva dato e che lui avrebbe
dovuto dividere con i fratelli? Lev che da anni non voleva aver più alcun
contatto con la famiglia? Oppure era stata la nuora Natalia, che si era
accontentata di sposare Dima ma avrebbe voluto sposare il padre di Maxim? Era
ed è bella Natalia, era sopravvissuta ad Auschwitz, era diventata una regista
famosa. E la madre di Maxim ne era gelosa. Circolavano tante voci su Natalia.
E poi, forse, dopotutto, il segreto è solo un pretesto ed è il tempo in
cui vive questa famiglia il vero protagonista del romanzo. Perché il segreto e
la tragica morte del tate sono una
conseguenza di questo tempo, di un regime totalitario che instilla la
diffidenza, che incoraggia la delazione, che compra i cittadini, con la paura,
con il denaro, con le promesse di vita migliore.
E “Sei valigie” è la storia di una
famiglia russa e ebrea, ricca di aneddoti
che saltano fuori- per così dire- dalle sei valigie, in un lessico famigliare
‘segreto’ e divertente, in una sequenza temporale non lineare ma che si sposta
avanti e indietro, con fatti che si svolgono a Mosca, a Praga, ad Amsterdam,
Berlino, Zurigo, con una lontana eco che arriva dal Brasile dove è emigrato lo
zio Vladimir. A volte i fatti raccontati si ripetono, ma è il punto di vista,
ovvero il narratore, che è cambiato e i dettagli non sono sempre uguali. Tutti
intelligenti, i quattro fratelli Biller, tutti somiglianti al tate (anche lo scrittore gli
assomiglia)- una famiglia “tipica del villaggio ebraico, avida, brutale,
sentimentale, paranoide” (lo dice Lev), dove tutti “sono sempre stati così
stupidi da credere che il denaro possa salvare la vita, l’anima e tutti gli
imperi”. Eppure qualcosa di straordinario questa famiglia deve averlo, se i due
esponenti più giovani, quello che era un bambino all’inizio del libro (e che
ora vive a Berlino) e sua sorella Jelena (che abita in Inghilterra), sono diventati
entrambi scrittori e hanno dedicato entrambi un libro ai ricordi di famiglia.
Tragico e buffo, ironico e divertente, tutto è incerto, tutti sono
sospettati, tutto è il contrario di tutto in questo libro dove quello che
importa è sopravvivere. E c’è qualcosa dei personaggi brechtiani (Maxim, l’io
narrante, deve fare un compito su Brecht quando va in vacanza dallo zio Dima),
qualcosa dell’ingenuità e della furbizia del buon soldato Sc’veik (non è un
caso che questo sia il libro che il padre di Maxim sta traducendo impuntandosi
su due parole, odore marcescente, che
non riesce ad esprimere adeguatamente in russo, attirando su di loro la nostra
attenzione) in questo romanzo che è uno spicchio di Storia nella storia di una
famiglia.
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