Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
love story
Ana Johns, “La donna dal kimono bianco”
Ed. Tre60, trad. Maria Carla
Dallavalle , pagg. 352, Euro 16,00
C’è una statua di bronzo che rappresenta una bambina con le trecce, sulla
punta di Shelter Island, vicino alla base navale di san Diego. È seduta, ai
piedi porta un paio di scarpette rosse, guarda fisso il mare. Dall’altra parte
dell’Oceano, a Yokohama, c’è la stessa statua. Ritrae una bambina giapponese,
adottata da una coppia americana. In questa statua c’è tutto il significato
della storia del romanzo “La donna dal kimono bianco” di Ana Johns.
Stati Uniti, adesso. Il
padre di Tori Kovač, giornalista di indagine, sta morendo. Un padre molto
amato che l’ha amata molto, che le raccontava splendide storie, tante del tempo
in cui- era giovanissimo- aveva prestato servizio militare in Giappone. Le
diceva di aver avuto un’altra vita, prima. Di aver anche amato un’altra donna,
tanto tempo prima di aver conosciuto la madre di Tori. Una lettera, rispedita
al mittente, aprirà per Tori la porta su quell’altra vita.
Giappone 1957. Naoko è innamorata, con tutto l’entusiasmo e l’ardore dei
suoi diciassette anni. Sa che la sua famiglia si opporrà al suo matrimonio con
Hajime. Il pretendente che suo padre ha scelto per lei è figlio di un uomo
importante per i suoi affari. Mentre Hajime ha gli occhi azzurri, è americano,
è il nemico.
“Sayonara”, “Il mondo di Suzie Wong”, “Madama Butterfly”- sono tante le
storie di amanti segnati dalle stelle in cui ‘lei’ ha il fascino esotico della
donna orientale. Nell’immediato dopoguerra, quando gli americani erano la forza
di occupazione in Giappone, queste storie d’amore furono comuni- che cosa ci si
poteva aspettare? Ragazzi giovani, lontani dagli affetti di casa, ragazze di
una bellezza insolita. E l’attrazione per l’insolito, per il diverso, era in
entrambe le direzioni. Furono emesse disposizioni che ostacolavano le unioni
interrazziali. Chi riuscì a sposarsi e poi ritornò in America con la moglie
giapponese, dovette affrontare le leggi americane sui matrimoni misti. Le spose
giapponesi che restavano in patria furono, d’altro canto, fortemente
discriminate. Diecimila bambini nacquero prima, durante e dopo l’occupazione e
moltissimi furono abbandonati negli orfanotrofi o dati in adozione, come la
bambina con le scarpette rosse.
Il romanzo di Ana Johns segue un
doppio filone, con due donne che raccontano la loro storia. Quella di Naoko,
nel 1957, è la sua storia d’amore, esaltante e infelice, con dei risvolti
drammatici e una forte denuncia contro fabbriche d’angeli e la ristrettezza
mentale di una vecchia cultura. Quella di Tori è un’altra storia d’amore, per
suo padre, per non perderlo del tutto nella morte senza averlo interamente
conosciuto. Perché Tori parte per il Giappone. Alla ricerca non sa neppure lei
di chi. Ha in mano una lettera, un corto filo rosso. Ha in mente le descrizioni
da favola di una casa con il tetto ricurvo, di una grande ancora. Ha al collo
un sciarpa di seta rossa e bianca- lei non lo sa, ma sarà il suo segno di
riconoscimento, come i suoi occhi azzurri, identici a quelli del padre.
Due immagini molto giapponesi ricorrono di frequente nel libro e, in
qualche modo, sono collegate l’una all’altra. Una è il kimono bianco del
titolo, che non è un kimono comune, ma uno shiromuku,
un kimono con un copricapo triangolare per una cerimonia di nozze- la madre di
Naoko lo porterà alla figlia perché lo indossi: il cuore grande di una mamma
tutto capisce e tutto accetta. L’altra
sono le statuine dei Jizo che
indossano un berrettino e un bavaglino rosso e che servono per avvisare Ojizo-sama, il monaco che aiuta ad arrivare
nell’aldilà i neonati che lo stano aspettando- sono diffuse nei cimiteri di
tutto il Giappone.
Questa
seconda immagine, con il filone della storia che rappresenta, finisce per
prevalere sulla prima e impedisce al romanzo di essere una banale storia d’amore
condita da esotismo. E il romanzo che era iniziato con leggerezza romantica si
ombreggia di tinte più cupe e ci ricorda i mali dei pregiudizi e delle
discriminazioni.
Un’appendice molto interessante
aggiunge il dettaglio che la storia di Hajime è, in parte, quella del padre
della scrittrice, e fornisce spiegazioni su usanze della cultura giapponese- un
romanzo che piacerà a chi sogna di andare in Giappone, a chi ci è stato e ne ha
nostalgia.
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la recensione sarà pubblicata su www.stradanove.it
Ho appena finito di leggere il suo romanzo. Molto bello e avvincente e il finale mi ha commossa moltissimo.
RispondiEliminaHo apoenba finito di leggere il suo romanzo e mi ha fatto vivere emozioni forti
RispondiEliminaGli occhi umidi, e mille pensieri, dire che questo romanzo è stupendo è banale.È un insieme di emozioni che fanno anche riflettere a lungo, dal sapore amaro della realtà e dalla dolcezza infinita carica di passione e tenacia, dell'amore, verso l'uomo ma soprattutto verso quella creatura piccola e indifesa.
RispondiEliminaUn libro intenso che ha aperto una porta verso un mondo e un passato che non conoscevo. Emozionante e toccante, tanto che le ultime pagine le ho lette con gli occhi velati di lacrime.
RispondiEliminaun racconto meraviglioso che avvicina ad una realtà sottaciuta
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