Voci da mondi diversi. Asia
Avevo già incontrato Nadeem Aslam nel lontano 2005, è impossibile che se
ne ricordi. È cambiato- chi di noi non lo è? Sempre molto affabile, di una
gentilezza che è più orientale che inglese. Incominciamo a parlare, in una
stanza con la finestra aperta sul cielo blu di Mantova. Parliamo del suo ultimo
romanzo che ho amato quanto i precedenti.
C’è molta violenza all’inizio del Suo romanzo- musulmani contro
cristiani, la voce accusatoria che proviene dal minareto, i droni americani, la
spia americana che spara sulla folla: il Pakistan è un paese così violento?
Uso tutti questi episodi, questi
fatti, per rendere la narrazione più intensa, per parlare della società in
questa maniera e, però, tutte queste cose non accadono insieme. Tutto quello di
cui parlo nel libro è più o meno vero. Io non ho molta immaginazione e quello
che accade nella realtà è più interessante dell’immaginazione. Prendo sempre
spunto dalla vita reale per costruirci sopra. Il mito dice che Zeus è andato a
letto per nove notti con la dea della memoria e il risultato di quelle nove
unioni furono le nove muse: ecco come nasce l’Arte. C’è la tua esperienza e in
più c’è la scintilla divina che è Zeus. È come se ci fosse una scossa elettrica
e tutto diventa più intenso. Ho costruito su quello che è reale. Inizio sempre
dalla vita vera e, dopo aver scelto il soggetto- che può essere un avvenimento
di 10 anni fa oppure di ieri- decido di scrivere. Ci sono scrittori che
iniziano con un personaggio, una situazione o un sentimento che poi diventa il
romanzo. Io no: incomincio con un avvenimento e poi scrivo un libro che è fatto
di migliaia di dettagli presi dalla vita vera e anche inventati.
I libri hanno un ruolo importante nel romanzo. “Leggere è una magia”,
dice Massud alla bambina Helen. Ho pensato molto al significato di Nargis che
ripara le pagine strappate con un filo d’oro e anche al titolo del libro del
padre di Massud, “Affinché si conoscano a vicenda”. La cultura ha un ruolo
essenziale nel portare i popoli alla pace?
Sì, la risposta è semplice. Italo
Calvino è stato la mia porta d’ingresso in Italia: la mia prima impressione è
attraverso uno scrittore, poi magari si va oltre. I libri sono il cancello di
ingresso. Thomas Mann mi ha introdotto alla Germania e Garcia Marquez all’America
Latina. Le storie sono importanti, ecco perché si bruciano i libri. Penso che
pubblicare sia essenziale, si cerca di documentare qualcosa. Ecco perché il
filo d’oro per cucire le pagine: i libri sono preziosi.
L’isola nel fiume dove i tre personaggi trovano rifugio- è un luogo
simbolico?
Queste isole esistono, ne ho visitato
una su cui c’era un tempio indù, si doveva essere indù per poterci andare. Io ci
sono riuscito tramite conoscenze. L’isola poteva essere un ‘santuario’, un
rifugio sicuro, per Nargis e i due giovani, per un certo periodo. Questa dell’isola
è in realtà la prima pagina che ho scritto del romanzo e dopo ho iniziato a
pensare: come sono arrivati qui?
C’è molto odio e tuttavia c’è anche tanto amore accanto all’odio. Ci sono
bellissime storie d’amore, quella di Nargis e Massud, di Lily e Grace, di Lily
e Aysha, di Helen e Imran. Provava sollievo nello scrivere d’amore dopo aver
scritto dell’odio?
Penso che ad un certo punto si debba
interrompere: un libro ti dice come scriverlo. Vai troppo in là e ti accorgi
che ti devi fermare e parlare delle ali di un uccello o della musica. Anche nella
vita è così. La guerra non ferma il sesso dall’essere sesso, una coppia dall’essere
coppia.
Ci sono stupefacenti immagini di una bellezza fragile- il museo del
vetro, la città di carta. Contengono il messaggio che l’amore e la bellezza
sono ancora possibili? Da dove ha preso queste immagini?
Ho visto un museo del vetro in
Pakistan ma avevo in mente il Museo del Vetro di Harvard: è bellissimo. La città
di carta, invece, è una mia invenzione. Le cose fragili sono un contrappunto
alla violenza e sono un esempio di come si possa sopravvivere. Sì, sono un
messaggio di speranza.
Fiori di vetro- museo di Harvard |
Mi sono piaciute le immagini dei due edifici in miniatura dentro la
stanza, per poter leggere e studiare restando al caldo. La scelta di queste due
moschee in particolare è stata fatta perché entrambe, Santa Sofia di
Costantinopoli e la Mezquita di Cordoba, sono state sia una chiesa sia una
moschea?
Inizio spiegando da dove mi è venuta
l’idea. Prova la mia tesi che io non ho immaginazione. Ho visto un programma in
TV con una grande dimora inglese di proprietà di un aristocratico, che però non
aveva i soldi per mantenerla. Si vedeva un enorme atrio con armature e quadri
giganteschi e poi, lì dentro, una casupola di legno in cui lui viveva con una
stufetta. Santa Sofia e la Mezquita di Cordoba sono nel pensiero pakistano. Sono
una ferita e una grande perdita perché la Moschea di Cordoba non è più una
moschea, non sono più quello che erano in origine.
Uno dei personaggi dice, “non ho il diritto di disperarmi perché non ho
fatto abbastanza”. Che cosa si potrebbe fare?
Dipende dalla situazione. Non sono
una persona che vede in bianco e nero. Sono capace di giudicare una situazione
e rispondere adeguatamente. C’è però una costante, anche se poi tanto dipende
dalla contingenza: la solidarietà con i deboli.
Mezquita di Cordoba |
L’America è vista come una potenza oscura dietro la scena. Qual è il suo
ruolo?
Non siamo forti come gli americani. L’episodio
della spia americana è successo veramente. Tutto è successo così come ne parlo,
anche i ricatti. Il Presidente Obama ha detto che il loro diplomatico doveva
essere rilasciato, ma sapeva benissimo che era una spia. L’America è una
potenza oscura dietro il Pakistan. Però c’è una resistenza, c’è una luce in
fondo.
Imran sembra essere nel romanzo per farci conoscere l’oppressione in
Kashmir. E il Kashmir fa notizia in questi giorni, purtroppo. Che cosa sta
succedendo?
L’India sta facendo oppressione sul
Kashmir e devono smettere. Il Kashmir aveva uno statuto speciale e ora l’India
glielo rifiuta.
Ho osservato che il nome di Suo padre appare quattro volte in questo
romanzo, dà anche il suo nome ad una strada e a una prigione…
E’ vero, ha contato giusto. In tutto
quello che scrivo c’è sempre un personaggio con il suo nome. Anche nel libro
che sto scrivendo c’è una madre che aspetta un bambino e vuole chiamarlo con il
nome del poeta, mio padre, perché ama le sue poesie. Poi nasce una bambina ma
lei gli dà ugualmente il suo nome. E tuttavia la storia di quel poeta che era
mio padre deve ancora essere scritta- la scriverò.
recensione e intervista saranno pubblicate anche su www.stradanove.it
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